Tutti gli articoli di emanuelacapodiferro

Dire che amo l'arte sarebbe scontato scrivendo su un blog dedicato ad essa, potrei dire quali sono le mie ulteriori passioni ma la lista sarebbe lunga e tedierei il lettore. Però posso dire cosa proprio non amo: le zanzare, il calcio e l'indifferenza.

Fotografia: l’arte di fermare il tempo

E la fotografia è il mezzo più rapido e immediato di comunicazione che abbiamo, un linguaggio universale che supera le barriere culturali e linguistiche.

Steve McCurry

Preistoria della fotografia

Le prime forme di registrazione visiva risalgono alla preistoria, quando l’uomo ha iniziato a comunicare attraverso pitture rupestri e incisioni. Questi antichi esempi di espressione artistica offrono uno sguardo prezioso sulle prime società umane. Le pitture rupestri, dipinte sulle pareti di caverne, raffigurano scene di caccia, animali e rituali religiosi, fornendo testimonianze visive di un mondo ormai lontano. Le incisioni, realizzate con strumenti primitivi, documentano eventi significativi e narrano storie. Queste prime forme di registrazione visiva rappresentano le radici della creatività umana e dimostrano la nostra innata necessità di comunicare attraverso l’immagine.

Grotte di Lascaux, Dordogna, Francia

Fotografia prima della fotocamera

I primi esperimenti che hanno aperto la strada alla fotografia come la conosciamo oggi sono stati intrapresi da numerosi studiosi e inventori. Tra questi spiccano la camera oscura e la camera lucida. La camera oscura, una scatola chiusa con un piccolo foro da cui passa la luce, consentiva di proiettare un’immagine rovesciata sulle pareti interne. Questo fenomeno ha stimolato l’interesse di molti, compresi artisti e scienziati, nella ricerca di un modo per fissare permanentemente l’immagine proiettata. Uno degli esperimenti più significativi fu quello di Thomas Wedgwood nel 1800, che riuscì a fissare immagini temporanee su fogli di carta sensibilizzata alla luce solare.

Camera oscura

Altri importanti contributi furono dati da Johann Heinrich Schulze, che nel 1727 scoprì che una miscela di sali d’argento si scuriva quando esposta alla luce, e da Joseph Nicéphore Niépce, che nel 1826 ottenne la prima immagine permanente utilizzando una lastra di peltro rivestita di bitume di Giudea. Questi esperimenti furono i primi passi verso l’invenzione della fotografia e aprirono la strada a ulteriori sviluppi che avrebbero rivoluzionato il mondo dell’arte e della comunicazione visiva.

1826: la prima foto: un battito di ciglia durato otto ore

L’invenzione della fotografia

Louis Daguerre e William Henry Fox Talbot sono due figure fondamentali nella storia dell’invenzione della fotografia. Louis Daguerre, nato in Francia nel 1787, fu un pioniere nel campo della fotografia. Nel 1839, presenta al mondo il dagherrotipo, un processo fotografico che utilizza lastre di rame sensibilizzate alla luce per catturare immagini nitide e dettagliate. La sua scoperta rivoluziona il modo in cui le persone potevano immortalare il mondo intorno a loro.

1839: il primo dagherrotipo con l’immagine del Buolevard du Temple

William Henry Fox Talbot, nato in Inghilterra nel 1800, sviluppa invece il processo del calotipo. Nel 1841, presenta un metodo che consentiva di ottenere più copie di un’immagine positiva da un negativo, aprendo così le porte alla diffusione della fotografia su scala più ampia. Grazie ai loro sforzi e alle loro scoperte, Daguerre e Talbot hanno gettato le basi per la nascita di un’arte e di una tecnologia che ha rivoluzionato il mondo visivo.

La diffusione della fotografia

La fotografia conobbe una rapida diffusione grazie alla produzione in serie di apparecchi fotografici e all’introduzione del negativo-positivo. Questi sviluppi tecnologici permisero a un numero sempre maggiore di persone di sperimentare e praticare la fotografia. La possibilità di ottenere copie multiple da un negativo aprì le porte alla condivisione e alla diffusione delle immagini fotografiche, influenzando profondamente la cultura visiva dell’epoca. La fotografia divenne così uno strumento accessibile e popolare per catturare momenti, documentare eventi e narrare storie visivamente.

Apparecchio fotografico portatile Kodak dei primi del ‘900

La fotografia nel XIX secolo

Mathew Brady è stato un fotografo statunitense del XIX secolo conosciuto per il suo contributo alla documentazione fotografica della guerra civile americana. Nato nel 1822, Brady fu uno dei primi fotografi a dedicarsi a tempo pieno alla fotografia. Divenne famoso per i suoi ritratti di celebrità e politici dell’epoca. Durante la guerra civile, Brady organizzò un gruppo di fotografi per catturare immagini dettagliate dei campi di battaglia, creando un’importante cronaca visiva del conflitto. Il suo lavoro contribuì a cambiare il modo in cui la guerra veniva documentata e influenzò lo sviluppo del foto giornalismo.

BRADY M., Il presidente Abramo Lincoln, 1864

Altro pioniere è stato Eadweard Muybridge un fotografo inglese del XIX secolo noto per i suoi esperimenti sulla cronofotografia. Nel 1872, Muybridge fu incaricato di indagare sul movimento dei cavalli, utilizzando una serie di fotocamere sincronizzate. I suoi esperimenti, che coinvolgevano scatti rapidi, rivelarono per la prima volta il vero movimento degli animali. Questa scoperta rivoluzionaria nel campo della cronofotografia aprì la strada agli sviluppi successivi nella cinematografia e nell’analisi scientifica del movimento. Muybridge è per cui considerato uno dei pionieri della fotografia in movimento e del cinema.

Eadweard Muybridge, sequenza animata di un cavallo da corsa al galoppo, 1887

Una Crocefissione per ricordare la Liberazione

Oggi è un 25 aprile speciale, sono passati ben ottant’anni dal 1945, l’ultimo anno di guerra, il primo di ritorno ad una vita libera e alla visione di un nuovo orizzonte pieno di speranze per ogni italiano. I testimoni di quei tempi sono pochi e le testimonianze non vengono accolte che da pochissimi. Le atrocità della guerra sono lontane e la loro diffusione sui media le rende astratte e inconsistenti.

Su questo blog solitamente non parliamo di politica ma di storia ed emozioni sì. Ricordare quello che è stato può aiutarci a pensare come vorremmo vivere il nostro presente e disegnare il nostro futuro.

Ripartire dal passato con la Crocefissione, l’opera di Renato Guttuso, uno dei maggiori pittori di Storia del Novecento italiano, mi sembra un buon modo per accendere la memoria su questo giorno da festeggiare in modo “sobrio” secondo le attuali indicazioni istituzionali (anche perché solitamente si festeggia con balli notturni, fuochi pirotecnici, fiumi di alcool e mangiate pantagrueliche).

RENATO GUTTUSO, Autoritratto, 1975, Collezione privata

L’artista

Guttuso nato a Bagheria vicino Palermo il 2 gennaio del 1912, comincia ad appassionarsi alla pittura fin da bambino, suo padre è appassionato di acquerello e inoltre frequenta la bottega di un decoratore di carretti siciliani restando fortemente impressionato dalle scene dipinte secondo l’antica tradizione siciliana. Qualche anno più tardi frequenta lo studio del futurista Pippo Rizzo e nel 1928 partecipa alla sua prima mostra collettiva. Nel 1931 è ammesso alla Quadriennale d’Arte di Roma e per la prima volta si reca nella capitale in cui qualche anno dopo si trasferirà e dove allaccerà importanti amicizie con artisti e intellettuali. Oltre all’attività artistica si occupa anche di critica d’arte scrivendo articoli su Picasso e Scipione.

Nel 1935 presta servizio militare a Milano e si lega con numerosi artisti fondando il gruppo di “Corrente” in opposizione alle manie di protagonismo del regime fascista.

RENATO GUTTUSO, Fuga dall’Etna, 1939, Roma, Galleria Nazionale di Arte moderna

Fuga dall’Etna

Due anni più tardi si trasferisce definitivamente a Roma e vive una stagione artistica molto feconda intrecciando una profonda amicizia con Alberto Moravia e dando vita ad opere importanti come la Fuga dall’Etna. Qui Guttuso non si limita a rappresentare luoghi e fatti a lui noti ma li usa per evocare una dimensione universale che racconta solo in apparenza la gente della sua terra in fuga dalla furia del vulcano ma in realtà rappresenta il dramma degli uomini in fuga dalla violenza dei regimi che in quegli anni stanno soffocando la libertà in tutta Europa.

Lo stile è una fusione di realismo ed espressionismo, il groviglio dei corpi è carico di forza, anche i colori sono intensi ma non sempre realistici evidenziano la tensione simboleggiata dal calmo blu del mare sullo sfondo a destra contro il rosso infuocato della lava che cola dalla montagna scura sulla sinistra.

RENATO GUTTUSO, Crocefissione, 1940-41, Roma, Galleria Nazionale di Arte moderna

La Crocefissione

Altrettanta drammaticità è presente nella Crocefissione del 1941, sicuramente l’opera più famosa dell’artista siciliano e non solo per lo scandalo che suscitò durante la sua prima apparizione sia da parte della Chiesa che del regime a causa della Maddalena nuda che abbraccia il corpo ferito di Cristo, ma in quanto rappresenta il raggiungimento della maturità di Guttuso che riesce a esprimere in un modo nuovo e moderno tutto il dramma dell’umanità. I vari gradi di rosso esprimono la violenza, il tratto spezzato è un richiamo alla pittura di Picasso in Guernica, anche se figure e oggetti non perdono concretezza. I tre crocefissi sono collocati in modo inusuale, secondo una diagonale e i cavalieri che ruotano attorno contribuiscono a creare una sensazione di movimento rafforzata dal paesaggio sullo sfondo. Pieni di dolore sono i gesti delle donne, quella accanto alla Maddalena che si copre il viso con un gesto disperato e quella coperta dal ladrone rosso che apre le braccia evocando un urlo straziante. Evocativa è anche la natura morta caratterizzata da oggetti taglienti e appuntiti fatti per trafiggere, lacerare e squarciare: distruggere l’uomo e la sua dignità.

Le origini della Natività

La Natività è rappresentata nell’arte cristiana fin dalle origini, già nelle catacombe venivano raffigurati elementi che richiamavano la nascita di Gesù; la Vergine con il Bambino al seno richiama l’iconografia molto diffusa della dea Iside che allatta il piccolo Horus,

Busto della dea Iside che allatta, Terracotta dipinta, 0-100 d.C., British Museum, Londra

ma quella della Madonna con il Bambino nella culla o nella mangiatoia tra il bue e l’asino, e poi, variamente, San Giuseppe, gli Angeli, i pastori e i Magi è tutta cristiana. Si tratta di un tema fondamentale dal punto di vista teologico, vi è infatti la fusione tra il divino e l’umano; tuttavia, questo tipo di rappresentazione e di tematica resterà comunque un po’ marginale fino al Basso Medioevo, quando soprattutto San Francesco lo riproporrà come fondamento della Cristianità.

Catacombe di Priscilla, Dipinto raffigurante Maria con il Bambino sulle ginocchia e un profeta accanto, inizio del III secolo, Roma

Le catacombe di Priscilla contengono la rappresentazione più antica dell’Adorazione, una Madonna con Bambino affiancata da un profeta che indica una stella; non ci sono elementi decorativi, sfondi o accessori, come da prassi nell’arte cristiana primitiva i tratti sono rapidi, i colori neutri, in questo caso solo terra rossa, e tutto è fortemente simbolico. Siamo in un’epoca in cui il Cristianesimo era ancora perseguitato.

Sarcofago di Adelfia part., I tre Magi osservano la stella, il bue e l’asinello davanti a Gesù nella mangiatoia, un pastore e Maria, IV sec. d.C., Museo archeologico regionale Paolo Orsi, Siracusa

Anche in alcuni sarcofagi sono presenti le scene più antiche della Natività, uno dei più interessanti è il Sarcofago di Adelfia, moglie di Valerio citato come amico da Sant’Agostino; l’opera marmorea fu rinvenuta nel 1872 e presenta scene dal Vecchio e dal Nuovo Testamento tra cui:

Sarcofago di Adelfia, IV sec. d.C., Museo archeologico regionale Paolo Orsi, Siracusa
  • In alto a sinistra Mosé che fa scaturire l’acua da una fonte e poi in preghiera, in successione Maria e le pie donne.
  • Al centro a sinistra i sacrifici di Caino e Abele, la scena di San Pietro e il gallo, la guarigione dell’emorroissa e la consegna della Legge a Mosé.
  • In basso a sinistra il sogno di Nabucodonosor, i tre giovani ebrei di Babilonia e il miracolo delle Nozze di Cana.
  • Al centro in alto l’iscrizione dedicatoria.
  • Al centro in posizione mediana e iscritta in un tondo a conchiglia vi è il ritratto dei due sposi.
  • Al centro in basso l’Adorazione dei Magi.
  • In alto a destra la Natività con i Magi che seguono la stella, il Bambino nella mangiatoia di vimini riscaldato dal bue e dall’asino e, infine la Vergine e un pastore.
  • Al centro a destra il sacrificio di Abramo, Gesù guarisce un cieco e moltiplica pani e pesci e la Resurrezione del figlio della vedova.
  • In basso a destra il peccato originale e Gesù che entra a Gerusalemme.

L’immagine del Natale

L’immaginario natalizio che in questi giorni ispira non solo il mondo dei media ma anche le nostre case, il nostro modo di comunicare e pensare si è naturalmente evoluto ma da dove viene questo Natale laico, vibrante di rosso e di bianco, caldo, gioioso e frizzante come quello della Coca-cola?

Haddon Sundblom, Santa Claus e Coca-cola, 1940

Sicuramente dal mondo delle illustrazioni che è particolarmente vivace e ispirato durante i ruggenti anni ’20 e a seguire. Pubblicità e copertine di riviste non hanno solo una funzione legata al marketing ma rappresentano stili di vita e modelli sociali a cui uniformarsi. Gli artisti che lavorano a questo programma, probabilmente inconsciamente, sono in realtà molto abili ed espressivi e hanno lasciato un segno indelebile con le loro creazioni. Se ci pensiamo immaginiamo Babbo Natale ancora come lo aveva rappresentato Haddon Sundblom, ispirandosi al testo poetico di Clement Moore, A visit from St. Nicholas, del 1823.

La leggenda di Babbo Natale

Nel testo Babbo Natale arriva la notte della Vigilia su una slitta trainata da otto renne e atterra sul tetto della casa di una famiglia per portare doni ai bambini, il padre dei piccoli avverte dei rumori si sveglia e vede St. Nicholas scendere dalla ciminiera con il suo sacco pieno di doni e riempire le calze di dolci e giocattoli. Visione magica che scalda il cuore e diventa uno dei testi poetici americani più famosi, tanto da dar vita a tutto un immaginario che perdura ancora oggi.

La prima uscita di Babbo Natale con slitta e renne, illustrazione per Una visita di San Nicola, di Clement Clarke Moore, 1890

Immaginario POP

Molti artisti e illustratori contribuiscono a rafforzare l’immagine di un Natale meno legato alla religione, che potesse andar bene alle diverse confessioni e rappresentare motivo di unione sociale. Estremamente interessante è il contributo narrativo delle illustrazioni di Norman Rockwell, precursore di Sundbloom, in cui Babbo Natale è un personaggio bonario e sorridente ma anche sacro e magico vista la presenza dell’aureola.

Normann Rockwell, Copertina del The Saturday Evening Post con Santa Claus, 1927

La direzione è quella di renderlo sempre più familiare, del resto qualche decennio prima con Thomas Nast era diventato anche eroe della guerra civile americana.

Thomas Nast,  Babbo Natale nel campo militare (da Harper’s Weekly ), 1863, Metropolitan Museum of Art, New York

Rockwell non si limita a creare immagini di Babbo Natale ma rappresenta la festa nella famiglia americana, il senso di stupore, la meraviglia, il calore e naturalmente quell’aria di festa che deve essere nelle case dei “buoni” americani.

In basso Norman Rockwell, Illustrazioni natalizie

Questa capacità narrativa e l’attenzione alla festa sono riprese da molti artisti anche nel cinema, nei cartoni (Rockwell era molto amico di Walt Disney) e nella pubblicità. Una delle star dell’arte contemporanea raccoglie alcune di queste idee nelle sue cartoline di Natale per Tiffany negli anni ’50: Andy Warhol.

Andy Warhol, Ornamenti natalizi, 1953 ca.

Grande osservatore del mondo delle immagini, capace di raccoglierle e riproporre gli stimoli derivanti dall’immaginario collettivo elevandoli ad arte, Andy Warhol è il cantore del mondo contemporaneo, capace di plasmare le sue opere con l’ossessione per la fama e il successo, tra i suoi miti c’è anche Babbo Natale ormai privo di sacralità ma patinato come le grandi icone del cinema e della TV.

Andy Warhol, Santa Claus, 1981

Ancora una volta la storia delle immagini, la storia dell’arte ci aiuta a capire il mondo. Infondo è l’intento primario di questo blog.

Cari lettori e amici vi auguro di vivere un Natale pieno di senso e di bellezza.

L’Immacolata di Crivelli tra frutti e fiori

La mia ultima visita a Brera mi ha permesso di apprezzare un artista rinascimentale davvero peculiare: Carlo Crivelli (Venezia 1430 ca. – Ascoli Piceno 1495). Raffinatissimo ma decisamente attardato per quanto riguarda lo stile che è indiscutibilmente tardogotico. Gli sfondi restano dorati come quelli di Gentile da Fabriano. La cura dei dettagli è fiamminga. La linea incisiva ed espressiva riprende quella dei Vivarini. È vicina a quella del Mantegna, ma Crivelli raggiunge obiettivi molto differenti, non ricrea uno spazio narrativo. Per lui, il dipinto è un oggetto prezioso e parzialmente tridimensionale. Ottiene questo effetto tramite la sovrapposizione di più materie pregiate, ornate con estrema cura. Include figure eleganti e statuarie, sebbene innaturali ed eteree. Il pittore ama imitare stoffe preziose, copia marmi pregiati e gemme rare. Nei lucenti sfondi dorati immerge le sue Madonne diafane e aggiunge un’abbondante serie di simboli e decori. I più curiosi sono i frutti rappresentati con estrema verosimiglianza, sembra quasi di potersene cibare.

L’Immacolata Concezione della National Gallery è un esempio della maniera più matura e personale di Carlo Crivelli che, quasi dimenticato in Italia per secoli, ebbe particolare fortuna in Inghilterra nel XIX secolo, probabilmente grazie all’apprezzamento dei Preraffaeliti per cui rappresentava il connubio perfetto tra maestria tecnica, gusto per la decorazione e aspirazione ad una bellezza ideale e pura.

Carlo Crivelli dipinge l’Immacolata per la Chiesa di San Francesco a Pergola, una cittadina delle Marche. L’immagine della Vergine è inusuale in quanto non sorregge Gesù Bambino.

Chiesa si San Francesco, Pergola

La rappresentazione della Vergine è volta ad esprimere la dottrina teologica dell’Immacolata Concezione, un’idea controversa che divenne dogma per la Chiesa solo nel 1854 ma che viene sostenuta dai teologi francescani già nel 1300 con Duns Scoto.

La Vergine è inserita in una nicchia di marmo dallo sfondo dorato lucente, simbolico del Paradiso. I capelli incorniciano regalmente il viso delicato e due angeli la incoronano con un diadema cesellato sullo sfondo dorato ricco di pietre preziose. Sostenuto dagli angeli anche un lungo cartiglio su cui è scritto: “Come dall’inizio sono stata concepita nella mente di Dio, così sono stata concepita anche nella carne”. Queste parole bibliche affermano l’idea che la Vergine esistesse nella mente di Dio prima di esistere nella carne.

In alto, Dio Padre benedice la Vergine da una nube azzurra del Paradiso, su di lui si affolla una schiera di serafini rossi. Lo scorcio prospettico è molto complesso, anche perché accosta dettagli anatomici a elementi astratti come i raggi e la colomba dello Spirito Santo. Al realismo dei dettagli si accosta il simbolismo degli oggetti quasi fotografici: le rose rosse e bianche rappresentano la carità e la purezza della Vergine, i gigli rappresentano l’incarnazione di Cristo.

Carlo Crivelli cura moltissimo la resa dei tessuti, da quelli della veste in broccato rosso della Madonna, al mantello damascato blu e oro fino al telo rosso e argento alle spalle della figura che scende fino ai piedi. Pergola era un importante centro di produzione tessile e forse Crivelli ha voluto sottolineare anche questo aspetto.