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Arlecchino all’Inferno

Arlecchino è probabilmente la maschera più rappresentativa del Carnevale, un simbolo ricco di sensi e anche di non sensi. Personaggio capace di incarnare numerosi vizi e qualche virtù, amato e rappresentato da molti artisti, in particolare da Picasso che lo ha dipinto in diverse occasioni e modalità. Oggi è associato all’idea di gioco, di allegria e spensieratezza, tuttavia le sue origini più remote richiamano scenari infernali da incubo. Un primo richiamo alle radici di questa figura è presente nell’Historia ecclesiastica di Orderico Vitale, autore di un imponente cronaca medievale in cui riporta la testimonianza di in monaco di Bonneval che afferma di aver incontrato la “gente di Hellequin”, una turba innumerevole di demoni e dannati, appartenenti ad ogni classe sociale e condotti da un gigante infernale di nome Hellequin. Il monaco riconosce diversi personaggi passati a miglior vita di recente e sottoposti ad un anticipo cruento delle pene infernali. La descrizione ricorda sicuramente le terrificanti visioni infernali che nel Medioevo si diffondono per dissuadere i credenti dalle cattive azioni e che sono state sicuramente utilizzate da Dante quale fonte per descrivere il suo Inferno. Infatti anche nella Divina Commedia compare il demone Alichino,

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DORE’, Il volo di Alichino – incisione

nel canto XXI della Cantica infernale, chiamato da Malacoda insieme ad altri a far da scorta a Dante e alla sua guida Virgilio, alla ricerca di un passaggio verso una nuova zona dell’Inferno. Se l’Alichino dantesco fa parte di un esercito di demoni buffoni, quello della cronaca di Orderico è a capo di un esercito di creature infernali che ricorda da vicino  sia il motivo della danza macabra che quello della caccia selvaggia (mito nordico legato all’attività di psicopompo del dio Odino).

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P. N. ARBO, Caccia selvaggia di Odino, 1872, Oslo

Possiamo tradurre entrambi i temi come la versione antica delle turbe di zombie, tanto presenti nell’immaginario cinematografico contemporaneo. Col tempo la turba infernale si è trasformata in scherzosa brigata, tuttavia il nostro Arlecchino conserva ancora una natura mossa dagli istinti bestiali (brama di cibo, di sesso) e la stessa maschera in origine riporta una sorta di bernoccolo che richiama forse le corna di un demone. Inoltre la veste decorata da rombi multicolore ricorda quella carica di lusinghe del re dell’Inferno.

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P. BRUEGEL, Lotta tra il Carnevale e la Quaresima, 1559, Vienna

Il Carnevale è una festa di origine pagane all’interno del quale la figura di Arlecchino si è andata delineando, forse anche con l’inconscia intenzione di esorcizzare il terrore della morte e delle immagini più macabre ad essa associate. Bruegel è uno dei più visionari artisti dell’arte del passato e in questa grottesca sfida tra Carnevale e Quaresima è impossibile non vedere un parallelo stringente con le immaginifiche e apocalittiche visioni infernali dello stesso artista.

Ritroviamo Arlecchino nell’arte francese, e se il diavolo è l’invincibile seduttore, la figura della Commedia dell’Arte non sembra essere da meno: lo sguardo smarrito di Colombina, nella pur idillica raffigurazione di Watteau, lo dimostra chiaramente.

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J.A., WATTEAU, Arlecchino e Colombina, 1716 ca. – Londra

Gli Arlecchini delle epoche più recenti sono invece maschere malinconiche o enigmatiche; ecco Cézanne che dipinge suo figlio nei panni di un Arlecchino austero, passaggio verso una sempre più cristallina figurazione astratta giocata su toni rossi e blu, cupi e densi, secondo schemi geometrici attentamente elaborati.

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P. CEZANNE, Harlequin, 1888 ca., Pola

Indubbiamente Picasso dedica ad Arlecchino maggiore attenzione rispetto a qualsiasi altro artista, facendone un soggetto speciale e privilegiato. Nel periodo rosa dipinge un piccolo Arlecchino con acrobata: gli sguardi divergenti dei due personaggi guardano lontano e in opposte direzioni, l’artista sceglie tonalità più tiepide e varie, lasciando il monocromatismo del periodo precedente. Sono gli anni in cui il grande pittore andaluso si “accontenta di vedere le cose come le vedono gli altri”, disse Gertrude Stein, descrivendo le opere che preludono alla svolta cubista.

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P. PICASSO, Acrobata e giovane Arlecchino, 1905, Barnes Foundation, Lower Merion, PA, US

Nel 1924 usa il soggetto in una composizione cubista, piena di ritmo e di colore e indubbiamente molto musicale…infatti oltre alle losanghe del costume di Arlecchino, riconosciamo anche la chitarra, altro ospite amatissimo della pittura di Picasso.

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P. PICASSO, Arlecchino musicista, 1924, Washington, National Gallery of Art

Il soggetto della Commedia dell’Arte è ripreso in numerose altre opere, in esso Picasso rispecchia la contraddizione esistenziale dell’uomo che appare in un modo ma è intimamente qualcos’altro; per questo la scelta di Arlecchino, personaggio da commedia, maschera polivalente, indossata da fanciulli e giovani uomini tristi ma mai stanchi di pensare.

L’ultima visione di questo post è quella di un altro grande artista spagnolo, Juan Mirò: il Carnevale di Arlecchino. Opera surrealista, che esplora la dimensione del sogno, realizzata attraverso automatismi psichici, ossia con un trasferimento diretto e non ragionato nelle forme simboliche visive così come l’inconscio suggerisce. Tra l’opera di Mirò e quella di Bruegel c’è indubbia affinità: uso libero della fantasia, giocosa disposizione di simboli e figure enigmatiche, scelta di evadere verso la dimensione del sogno…o dell’incubo.

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J. MIRO’, Il Carnevale di Arlecchino, 1925, Albright-Knox Art Gallery di Buffalo