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Omaggio ad Hans Arp (Strasburgo, 16 settembre 1887 – Basilea, 7 giugno 1966)

Hans Arp è uno dei maggiori esponenti del Dada, movimento dell’arte contemporanea i cui aderenti sperimentano in modo libero e irriverente, senza limitazione relative alle tecniche, ai materiali o alla modalità espressiva. Arp è figura centrale, dal punto di vista plastico, del Dada di Zurigo; predilige la linea del biomorfismo con rilievi dalla cromia ardita ma con interiore armonizzazione.

La sua ricerca parte dallo studio delle opere di Maillol, scultore francese dell’Art Nouveau, attivo a Parigi negli anni della formazione di Arp, ispirato dalle forme femminili che rende con una linea morbida e diafana.

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Gioventù, Aristide Maillol, 1910, Musée d’Orsay, Parigi

Arp si dedica alla poesia e alla scrittura e nel 1912 partecipa alla seconda mostra degli artisti del Blaue Reiter, qualche anno più tardi si accosta al Surrealismo ma è nel 1916 che contribuisce alla fondazione del Dadaismo.

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Ritratto di Tristan Tzara, Hans Arp, 1916

Nello stesso anno Hans Arp incontra Sophie Taeuber, sua futura moglie ma anche collaboratrice in numerose avventure artistiche, e realizza un’opera ormai completamente non figurativa come il Ritratto di Tristan Tzara, da cui emerge il linguaggio nuovo del non senso e della casualità.

In questa fase l’artista sceglie il rilievo, ma non si avventura ancora nella spazialità del tutto tondo, e impiega materiali ed elementi già pronti in una sorta di più timido ready-made evidente in Trousse d’un Da dove pezzi di legno di risulta, privi di un qualsiasi valore estetico, vengono incollati sulla tavola, luogo tradizionale del dipinto.

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Trousse d’un Da, Hans Arp, 1920-21, Centre Georges Pompidou, Parigi

In ogni caso nelle sue opere vi è sempre riferimento alle forme della natura e totale esclusione del mondo artificiale delle macchine che altri artisti del Dada trovavano invece stimolante.

Gradualmente Arp conquista la terza dimensione e le sue opere cominciano a dialogare con lo spazio circostante come nella decorazione in vetro realizzata nel 1928 per una residenza di Strasburgo:

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Vetrata dipinta ad Aubette, Hans Arp, Strasburgo

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale Ans Harp ottiene nuomerosi riconoscimenti e molte delle sue opere vengono inserite nei luoghi più importanti di numerose città. Come Cloud Shepherd (Pastore delle Nuvole) collocata nella piazza dell’Università di Caracas e realizzata in bronzo davanti ad un rilievo in ceramica.

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Cloud Shepherd, Hans Arp, Caracas, 1953

Le opere di questo periodo hanno una vitalità davvero notevole ed effettivamente sono l’espressione della legge del caso che permette all’artista che si abbandona ad essa di creare qualcosa di assolutamente nuovo e vivo come un elemento di natura.

Strutture di linee, superfici, forme, colori. Cercano di avvicinarsi all’eterno, all’inesprimibile al di là dell’uomo. Sono una negazione dell’egoismo umano. Sono l’odio per l’immodestia umana, l’odio per le immagini, i dipinti … La saggezza [è] il sentimento per la realtà che arriva, il mistico, il definito indefinito, il più grande definito.

H. Arp

SALVE, MI PRESENTO: SONO LA “NIKE DI SAMOTRACIA”

SALVE, MI PRESENTO: SONO LA “NIKE DI SAMOTRACIA”

di Giulia Marenco

(IV Liceo Classico “Filippo Juvarra”, Venaria – TO)

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Parigi, capitale europea dell’amore, possiede un luogo, tempio di coloro che amano l’arte come si potrebbe amare una donna. Tale luogo si trova sospeso nell’oceano del tempo tra antico e moderno.

Un vero e proprio gioiello museale che, tra tante scale, corridoi e sale ne possiede una che è sorvegliata da una donna alata acefala, priva, per di più, di mani e braccia. Lei accoglie gli osservatori con la sua delicatezza e, a chi vi presta attenzione, racconta di sé e della sua storia:

«Salve, sono Nike, fino al IV secolo a.C. non avevo identità, anzi, ero spesso associata ad Athena, dea della Sapienza, delle Arti, della tessitura e delle strategie militari, ma dal III a.C. si cominciò a narrare fossi figlia di Pallade, che altri chiamano Pallante, ovvero il Titano che si unì con la ninfa Stige e da cui nacqui. Per fortuna non sono figlia unica, ho tre fratelli Cratos, personificazione della Potenza, Zelo, della costanza e la gelosia, e Bia, la violenza.

Infine ci sono io, Vittoria, “Nike” in greco, in qualità di messaggera della vittoria sportiva e bellica.

Il mio autore è ignoto, nonostante oggi molti ritengano che a realizzarmi fu lo scultore ellenistico Pitocrito, poiché al momento della mia scoperta sull’isola di Samotracia venne rinvenuto nei pressi un basamento che riportava il suo nome.

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Fui realizzata intorno al 190 a.C. in occasione della battaglia dell’Eurimedonte nei pressi di Side in Anatolia (nell’odierna Turchia) contro Antioco III il Grande re di Siria, nella quale furono alleate Roma, Pergamo, Rodi e Samotracia. Quest’ultima folle celebrare l’impresa con un grandioso santuario consacrato ai “Grandi Dei Cabiri” (vedi nota): una montagna a terrazzamenti su ognuno dei quali si sviluppava una parte della complessa planimetria del sito. Sulla sommità vi era un ninfeo a due livelli. Ecco, io mi trovavo sul ninfeo superiore.

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Cosa simile avvenne a Pergamo in Turchia con l’altare dedicato a Zeus Sotér e Athena Nikephòros (Zeus Salvatore e Atena portatrice di vittoria) per celebrare la vittoria del 240 a.C. della città sui Galati, alleati proprio dello stesso Antioco III di Siria, incaricando per l’impresa niente di meno che lo scultore ellenistico Firomaco di Atene.

Restai lì, a Samotracia, per secoli, poi sparì. Non vi dirò che fine feci! Vi basti sapere che venni ritrovata, “a pezzi”, il 15 aprile del 1863 nella stessa isola dell’Egeo da un certo Charles Champoiseau, viceconsole francese a Edirne, l’antica Adrianopoli, (città della Tracia: la regione sudorientale della Penisola balcanica comprendente il nordest della Grecia, il sud della Bulgaria e la Turchia europea). Qualche anno dopo, nel 1867, fui acquistata dai francesi, i quali mi destinarono al Louvre. Il viaggio da Samotracia alla capitale parigina fu lungo e impervio: da Samotracia a Costantinopoli, da qui al Pireo fino a Marsiglia e infine Parigi via treno. Nel 1884 fu costruita al Louvre una scala, la scala Daru, progettato da Hector Lefuel al fine di collegare la Galerie d’Apollon e il Salon Carré. Fu fatta apposta per me! E in cima a essa mi ergo trionfante in tutta la mia maestosità!

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In seguito, nel 1879, fu rinvenuto fra i resti del Santuario dell’isola egea il basamento su cui poggiavo e anche questi fu destinato al museo, sotto i miei piedi. Ero completa…beh, quasi…!! Infatti, solo nel 1950 l’Austria finanziò una nuova campagna di scavi grazie alla quale furono riportate alla luce porzioni della mia mano destra che gli austriaci tennero per sé e attualmente conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Potrete non crederci, ma posso asserire di essere rifatta! Nel 1884 l’ala destra e il seno sinistro mi furono rifatti…non in silicone, bensì in gesso. Ora, guardatemi! Sono fatta di marmo Pario, proveniente cioè dall’isola di Paro, mentre il basamento a forma di prua bireme è realizzato in marmo di Larthos, proveniente dall’isola di Rodi. Sono molto alta, seppur composta da quattro blocchi. Misuro, infatti, 2,75 m., senza “testa” (questa chissà che fine avrà fatta!), e con l’aggiunta del basamento, pari a 2,01 m., raggiunto, pensate un po’ i 4,76 m. Adesso tenetevi forti! Peso la bellezza di 30 tonnellate, ma non azzardatevi a darmi dell’obesa, poiché ho una silhouette da far invidia a una modella. E in origine ero pure policroma, con effetti delicatamente chiaroscurali, memori della lezione di Prassitele e compagni.

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La mia veste è sottilissima, ottenuta per mezzo di quell’inganno illusionistico detto “effetto bagnato” di scuola fidiaca, e aderisce alle mie membra come fossi investita controvento: quel vento di sapore salmastro che ti schiaccia addosso i vestiti e ti scompiglia i capelli…ah no, aspettate….

Le linee sulla mia veste, queste linee guida pluridirezionali non vi fanno presupporre che io abbia davvero il vento contro, come se fossi appena atterrata sulla nave? Sono la messaggera della Vittoria e atterro sulla prua bireme con la corona di alloro nella mano sinistra e la tromba (o uno stendardo, sta a voi scoprirlo) nella destra per annunciare la vittoria su Antioco III. Eh, già, qui Pitocrito (o ignoto) compì un memorabile artificio tecnico rendendo il moto del mio corpo sensualmente sinuoso come per le opere lisippee.

Vedete come sono realistica? Non v’ispiro un senso di libertà come se da un momento all’altro potessi spiccare il volo?

Eccomi! Mi chiamano “Nike di Samotracia”, sono bellissima e non brillo per modestia.

Pensate, sono così bella che anche voi senza saperlo mi portate ai piedi! Conoscete tutti le sneakers della Nike, no? E conoscerete senz’altro il celebre logo che le contraddistingue? Si chiama “Swoosh” (in inglese “fruscio”) e non è altro che la stilizzazione della mia figura pensato nel 1972 da Carolyn Davidson, una studentessa di grafica alla Portland State University. Costei, su invito del prof. Phil Knight e per un compenso di appena 2 dollari l’ora, diede libero sfogo alla sua creatività e ispirandosi direttamente alla mia posa fluttuante ideò il celebre marchio della futura Nike, alla cui fondazione stava collaborando lo stesso prof. Knight.

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Visto? A volte studiare Storia dell’arte aiuta e serve a qualcosa! Della serie: “prendi l’arte e mettila da parte”… potrà sempre tornarti utile un domani. Senza la mia storia, la Davidson non avrebbe avuto la stessa risonanza internazionale e le sneakers non avrebbero avuto il loro “swoosh”. Ma non fu la sola! Anni prima, esattamente nel 1913, un certo Umberto Boccioni, artista calabrese con la fissa per la velocità e per il progresso futurista, creò una celebre scultura bronzea dal titolo “Forme uniche della continuità nello spazio”. Adesso, voglio dire, osservate bene e ditemi se questo scultore (etichettato come “anticlassico”) non abbia guardato al mio profilo! Quindi merito un applauso, non credete? Suvvia, non siate avari di complimenti!

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Eppure, sappiate non sono, per così dire, figlia unica! Ho una sorella maggiore, infatti, bella come la sottoscritta: la “Nike dei Messeni e dei Naupatti”, scolpita da Paiònios di Mende nel 420 a.C. circa per celebrare la vittoria di Sfactèria sugli Spartani del 425 a.C. Bè, sì, lo ammetto! Rispetto a me è più malconcia, ma che volete, data l’età! Tuttavia, la ragazza si difende ancora bene! Non trovate?

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Tornando a me, tra fine 2013 e luglio 2014 mi sono rifatta il trucco, sottoponendomi a un lifting di dieci mesi costato ben quattro milioni di euro. Ma abbiate pazienza, ne avevo proprio un gran bisogno!

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Cari spettatori, scusate se magari sono stata prolissa o vi ho annoiato, ma dopo tanti anni qui…

Sono un po’ fuori di “testa!”».

Riproduzione riservata

Nota. Gli Dei Cabiri erano misteriose divinità ctonie dell’oltretomba. Essi erano venerati in un culto misterico che aveva il suo centro presso Samotracia, culto legato, inoltre a Efesto.

Proprio Efesto, unendosi con Cabeiro, figlia di Proteo, ebbe Cadmilo, il quale, a sua volta, ebbe tre figlie dette le Cabridi e tre figli, i Cabiri.

IL POTERE DELL’INTERPRETAZIONE: “MOTHER AND CHILD” di ZHANG YAXI

IL POTERE DELL’INTERPRETAZIONE: “MOTHER AND CHILD” di ZHANG YAXI

di Noemi Bolognesi

  • Opera: “Mother and Child”
    – Autore: Zhang Yaxi
    – Anno e luogo di locazione: 2007 – Luogo di Collocazione: Goldmud (Cina)

mamma e figlio

Oggi per festeggiare la giornata dedicata alle nostre Mamme ho scelto questa significativa scultura: “Mother and Child”.
Lo scultore, Zhang Yaxi, è stato commissionato nel 2007 dal sindaco di Golmud per creare questa scultura monumentale, che ha vinto il premio Excellence dalla scultura Association National Urban nel 2009, ed è stata eseguita da Yaxi e suoi assistenti prima in creta su un’armatura in acciaio e legno, poi è stata stampata in gesso.
Con questa scultura, questo articolo vuole essere una riflessione sul Potere dell’interpretazione. L’Arte, infatti, ci mostra capolavori in grado di illuminare i nostri occhi e soprattutto la nostra mente. Ciò che per l’uomo sembra chiaro e con un solo significato evidente, per l’Arte è invece il risultato delle più profonde interpretazioni. Molti artisti ci mostrano chiaramente il modo d’interpretazione dei loro lavori, altri invece non lo fanno, lasciando posto all’immaginazione.
Osservando ad esempio questa scultura, ognuno di noi direbbe all’istante che raffigura il bacio tra una mamma e il suo bambino: questo è ciò che la mente fa come primo passaggio legato all’interpretazione visiva. Ma “il bello”, come si potrebbe definire, è il secondo passaggio, non facile per tutti e che richiede non solo una profonda personalità ma anche un voler vedere la stella più lontana ai nostri occhi, ovvero l’interpretazione approfondita: questa seconda fase è l’elaborazione di ciò che vediamo. Poi c’è una terza fase formata dall’interpretazione morale legata ai ricordi personali che emergono osservando la scultura. La terza fase è considerata la più complessa, dove lo spettatore associa ciò che vede a qualcosa di più complesso e poi ne deduce ricordi personali.
Certo, Baxandall scrisse a proposito di questo tema molte cose interessanti, ma stasera sviluppo io questa mia teoria e la
condivido con voi tutti. Cerchiamo quindi di ragionare sulla figura che vediamo nel modo più completo possibile
Prendiamo appunto “Mother and Child” come riferimento.

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Interpretazione visiva. Ciò che vedete sono due figure: una mamma e il suo bambino, entrambe unite da un affettuoso bacio che le rende così una figura sola.
interpretazione approfondita. Nessun tema può essere più vasto e complesso di questo: l’amore per i figli. Proprio oggi che è la Festa della Mamma mi sento in dovere di spendere qualche parola a riguardo. Cosa c’è di più grande di un amore materno? Cosa di più vero e concreto? La madre è colei che ti protegge e lo fa anche solo guardandoti crescere, lo fa con una carezza data a un piccolo pupetto, a quel pupetto diventato poi grande e che coccole forse non vuole più. Lei sa che soffrirai, sa che piangerai ma sa anche che ti rialzerai, come ha fatto lei stessa. Nell’età dell’adolescenza ti avverte di cosa è sbagliato fare con i duri “NO” urlati davanti alla porta della tua camera, ti rimprovera, ti mette in punzione e la tua frase protagonista di quel periodo sarà “Tu non capisci Niente!”. E invece è lì che ognuno di noi dovrebbe fermarsi, lì dovremmo capire che le mamme sanno e capiscono eccome! E proprio per questo si sentono in dovere di guidarti, perchè ci sono già passate e in qualche modo cercano di non farti fare i loro stessi errori.

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interpretazione morale. Non è facile riuscire ad interpretare così a fondo un’opera d’arte, molto più semplice è perdersi nella concretezza misurata dai nostri occhi. Il segreto sta appunto nel fare una profonda interpretazione su ciò che l’occhio vede e incrociare più spunti possibili per permettere alla mente di allargarsi. A quel punto le due figure avranno molti più volti legati dalla stessa cosa in comune: il bacio tra una figura che rappresenta la protezione e un’altra che rappresenta il voler essere protetti fino a quando non si riesce a camminare da soli. Così se ci soffermiamo più attentamente riusciamo a vedere molti altri legami che potrebbero specchiarsi in questa raffigurazione; ad esempio la Terra che bacia i suoi frutti e se ne prende cura, un figlio che aiuta il genitore anziano che si ritrova bisognoso di attenzioni come un tenero bambino o addirittura La Forza che bacia La Vita (due figure astratte).
Un altro spunto d’interpretazione è ciò che spicca nella figura: il bacio. Il bacio che è l’incoronazione della fiducia, dell’amore sincero. Un bacio che può essere rubato, aspettato, negato; un bacio dato con il cuore o dato per circostanza. Un bacio dato tra due amanti, tra amici o ancora, tra parenti, simbolo di rispetto, costanza e affetto.
Ricordi personali. Capiamo di aver fatto un buon lavoro di interpretazione quando riusciamo a vedere i nostri ricordi attraverso l’opera che abbiamo di fronte, in questo caso vedere questa scultura susciterebbe in noi il pensiero di quando eravamo piccolini, ognuno di noi con un’interpretazione diversa. Ad esempio l’abbraccio che ricordiamo dato dalla mamma prima della buonanotte, la lucina accesa per chi aveva paura del buio, le volte che allungavamo le mani per farci prendere in braccio o il bacio a nostro figlio appena nato o qualsiasi ricordo in particolare associato a questa figura (ognuno di noi ne ha milioni!).
Come vedete l’interpretazione è la prima figlia della Storia dell’Arte. E’ magia, è mente: dona una scala di colori molto vasta e variegata.
Concludo descrivendovi cosa i miei occhi vedono: la Madre raffigura noi uomini e il bambino rappresenta la Terra e le sue meraviglie (tra cui l’Arte ovviamente): l’uomo dovrebbe avere più rispetto e molto più amore verso tutto ciò che lo circonda, non dovrebbe essere il motivo del degrado e del malessere.
“L’uomo ha fatto nascere l’Arte e lui stesso deve prendersene cura”.

Lascio a voi tutti questi spunti di riflessione e se volete diteci in che modo interpretate questa scultura meravigliosa.
“Imparate a vedere con gli occhi della mente, perchè ricordatevi: l’essenziale è invisibile agli occhi”
Un augurio sincero a tutte le mamme, specialmente alla mia sempre bella come in quella fotografia! 🙂

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LETTURA OPERA: “AMORE E PSICHE” di ANTONIO CANOVA


Autore: Antonio Canova

Luogo di collocazione: Parigi, Museo del Louvre

1788-1793

di Noemi Bolognesi

Il fenomeno culturale e artistico che caratterizzò la seconda metà del Settecento e i primi vent’anni del secolo successivo, definito Neoclassicismo, fece della civiltà greca e poi di quella romana un modello di vita vero e proprio, posto al centro della produzione delle arti in forte contrapposizione alla teatralità del Barocco e alla frivolezza del Rococò. Canova ha da sempre cercato di dare non solo un perfetto saggio tecnico di scultura, ma di ricreare in ogni sua opera anche lo spirito della favola antica come suggestione ed espressione di sentimenti.

Questa domenica vi voglio parlare di un gruppo scultoreo molto affascinante, realizzato da Antonio Canova tra il 1788 e il 1793, esposta al Museo del Louvre di Parigi: Amore e Psiche. Di questo gruppo scultoreo ne esistono tre versioni: delle tre versioni, la prima, cronologicamente parlando, è la più famosa e acclamata dalla critica, la seconda versione (18001803) conservata all’Ermitage di San Pietroburgo in cui i due personaggi sono raffigurati in piedi e una terza (17961800), sempre esposta al Louvre, in cui la coppia è stante.

L’opera rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio Amore mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata, Psiche. Rispetta i canoni dell’estetica winckelmanniana, infatti, i due amanti vengono rappresentati in quell’istante vissuto almeno una volta da tutti noi, quel momento che sembra eterno, anche se breve: l’atto precedente al bacio. Le due figure si intersecano con un intenso abbraccio formando una X morbida e sinuosa che dà luogo ad un’opera che vibra nello spazio. La scultura è realizzata in marmo bianco che evidenzia il senso della carne, una caratteristica fondamentale presente nelle realizzazioni di Canova, insieme alla monocromia che sottolinea la carica espressiva. 

L’opera Amore e Psiche del 1788 è un capolavoro alla ricerca d’equilibrio. In questo squisito arabesco, infatti, le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti fra loro. Questa disposizione piramidale dei due corpi è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece incorniciano il punto focale, aprendosi a mo’ di cerchio attorno ai volti. L’elegante fluire delle forme sottolinea la freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l’idea di Canova del “bello” ovvero sintesi di bello naturale e di “bello ideale”.

RICORDANDO LA MITOLOGIA La favola di Amore e Psiche, dal libro “Le Metamorfosi” di Lucio Apuleio del II sec. d.C., narra la storia della giovane Psiche, la cui indescrivibile bellezza scatena la terribile gelosia di Venere e l’amore appassionato di Cupido.

La storia inizia con un re e una regina che avevano tre figlie, una delle quali si chiamava Psiche. La creatura era bellissima, tanto che alcuni pensavano che fosse l’incarnazione di Venere. Quest’ultima, invidiosa e gelosa di Psiche, chiese aiuto al figlio prediletto, Amore, o meglio conosciuto come Cupido. La vendetta consisteva nel fare innamorare Psiche dell’uomo più brutto e sfortunato della terra, in modo da ricoprirla di vergogna. Amore però appena vide Psiche rimase incantato dalla sua bellezza e fece cadere la freccia preparata per lei nel suo stesso piede, così lui si innamorò perdutamente. Ogni notte Amore andava da Psiche senza mai farsi vedere in volto per evitare le ire della madre Venere. Egli aveva detto alla sua amata che era il suo sposo e che non doveva chiedergli chi fosse e nemmeno poteva vederlo. Un giorno Psiche incoraggiata dalle sorelle, raggiunse Amore mentre dormiva e avvicinò la lampada al suo volto. Rimase così incantata che volle baciarlo ma lui si svegliò e scappò. Venere, come dubitava il figlio, si scatenò e sottopose la fanciulla alla prova più difficile di tutte: scendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. Psiche scese negli inferi e ricevette un’ampolla dalla dea Proserpina, ma questa ampolla non doveva essere aperta. Però incuriosita dal contenuto l’aprì e scoprì che dentro non c’era la bellezza ma il sonno più profondo e così cadde in esso. Giove mosso a compassione fece in modo che i due amanti potessero amarsi. Psiche e Amore si sposarono e dalla loro unione nacque un figlio di nome Piacere.

“Così quando la terra riceverà il nostro abbraccio, andremo confusi in una sola morte, e vivere per sempre l’eternità di un bacio”. (P.Neruda)

Buona Domenica a tutti!

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