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Friedrich Dürrenmatt: l’anticonformismo nell’arte

“L’arte, la letteratura, sono, come qualunque altra cosa, un confronto col mondo. Una volta afferrato questo, ne potremo intravedere anche il senso.” F. Dürrenmatt

Ho scoperto Dürrenmatt solo di recente, grazie al provvidenziale suggerimento di un collega, e inizialmente l’ho apprezzato per lo stile nitido e intensamente evocativo, per la capacità di esprimere il conflitto tra il bene e il male in tutta la sua atroce complessità e, infine, per le ambientazioni e le atmosfere che mi ricordano il mio paese natale: la Svizzera. La lettura de La promessa: un requiem per il romanzo giallo è stata davvero illuminante.

Dürrenmatt è infatti elvetico, nato a Konolfingen nel cantone di Berna, il 5 gennaio 1921, da un pastore protestante, a sua volta figlio del poeta e politico Ulrich. Si trasferisce a Berna nel 1935 e qui si diploma e intraprende gli studi universitari iscrivendosi alla facoltà di filosofia, lettere e scienze naturali. Prima di completare gli studi decide di dedicarsi all’attività di scrittura. La sua creatività si esprime sia nella narrativa che nel teatro e nella pittura, prediligendo spesso soluzioni ibride e decisamente originali.

Dürrenmatt F, Prometeo modella degli uomini, 1988, Centre Dürrenmatt Neuchâtel

I principali riferimenti letterari e drammaturgici sono da rintracciarsi in Brecht o più probabilmente in Beckett e Jonesco, dal punto di vista pittorico Dürrenmatt guarda all’opera di Goya, soprattutto il ciclo dei Capricci, le incisioni che deformano la realtà per rivelarne le pieghe più oscure e sconvolgenti, ma anche all’intensa stagione dell’espressionismo tedesco e alle visioni dell’amico Willy Varlin.

Nelle sue opere è evidente il senso di smarrimento dell’uomo di fronte alla labirintica città contemporanea e la capacità di osservare la realtà per rilevarne gli aspetti più inquietanti e grotteschi.

Friedrich Dürrenmatt, Labirinto II: Il Minotauro spaventato, 1974

Le sue opere di natura visiva affrontano i racconti della mitologia classica, in chiave allegorica, oppure prendono spunto dalle più avanzate idee scientifiche.

Dürrenmatt F., Gli Astronomi, 1952,

In alcuni casi si tratta di illustrazioni che accompagnano le sue narrazioni e tuttavia lui ne parla in questi termini:  

“I miei disegni non sono lavori accessori alle mie opere letterarie, ma i campi di battaglia disegnati e dipinti su cui si svolgono le mie lotte, le mie avventure, i miei esperimenti e le mie sconfitte di scrittore”.

Dürrenmatt è un artista ancora poco noto, morto a Neuchatel nel 1990, molti dei suoi lavori sono conservati in collezioni private ma una raccolta di tutto rispetto è sicuramente quella del Centre Dürrenmatt Neuchâtel dove di recente si sono tenute numerosi eventi di approfondimento e un’interessante conferenza che racconta il suo parallelo con il siciliano Leonardo Sciascia con cui lo svizzero condivide tematiche (il genere poliziesco e la riflessione sulla giustizia) e periodo storico.

Tempus fugit

TEMPUS FUGIT

di Emanuela Capodiferro

Tempus fugit, dicevano gli antichi, e difficilmente qualcuno non concorderà con loro. Oggi più che mai, nell’era dei messaggi istantanei, del vediamoci su facebook, del pronto in tavola, del fast food & fast travel e delle mille cose che rendono tutto più veloce, mentre le nostre vite sono sempre più compresse, sempre più prive di tempo per noi, di tempo che conta per noi.

Questo spazio nasce su stimolo del mio caro amico e collega Filippo con cui condivido la passione sincera per l’Arte e per l’Educazione.

Collaborare alla creazione di questo blog rappresenta un modo per riprendere il mio tempo, per occuparmi di ciò che amo, scoprendo, condividendo e confrontando nuove visioni dell’Arte.

E quindi comiciamo dal Tempo e dalla visione terrificante che di esso ci offre uno dei giganti della Storia dell’Arte di tutti i tempi:Goya.

Francisco Goya, Crono divora i suoi figli, 1821-23, Madrid , Prado.

Un visione che anticipa di quasi un secolo gli esiti più cupi dell’Espressionismo novecentesco e che descrive la disumana crudeltà del nostro più inesorabile nemico: il Tempo.

L’opera appartiene al periodo più tardo di Goya ed anche più tragico, segnato dalla sofferenza di una grave malattia. Appartiene al ciclo delle “pitture nere” e rappresenta Crono, il padre di Zeus, nell’atto di divorare i suoi stessi figli ed è anche allegoria del principio distruttore, insito in ogni vivente, Chronos, il Tempo. Non vi sono committenti da soddisfare ma solo emozioni da esprimere, per cui Goya non cerca di piacere.Le pennellate sono crude e rapide, i toni cupi lasciano emergere solo il rosso del sangue e delle membra strappate. Protagonista è lo sguardo folle e agghiacciante del padre che dilania il figlio.

Goya mette in campo un modo nuovo per indagare il lato oscuro dell’uomo, dipinge gli istinti più irrazionali e violenti, riflette su aspetti che raramente, almeno nell’arte prenovecentesca, erano stati considerati. Ma soprattutto è il modo che è nuovo e in assoluto anticipo.

p.s. mi sono alzata con il piede storto…

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