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“T’AMO COME SI AMANO CERTE COSE OSCURE, SEGRETAMENTE, TRA L’OMBRA E L’ANIMA.” di NOEMI BOLOGNESI.

di Noemi Bolognesi

E’ difficile spiegare come mai la vita mi abbia indirizzato verso questa strada.

Cominciai a innamorarmi davvero della Storia dell’Arte grazie al modo di insegnare del mio professore Filippo Musumeci in Terza Superiore. Mi sentivo coinvolta, tanto da poter vedere con la forza dell’immaginazione ciò che spiegava, ne sentivo le emozioni e alcune volte addirittura riuscivo a percepirne il tatto. Per questo motivo non nego che qualche volta scappò qualche lacrima.

Il suo modo di insegnare era a dir poco straordinario, diceva così tante cose in quelle ore come se volesse trasmetterci non solo le conoscenze ma sopratutto la passione. Mi affezionai molto a lui e l’Arte diventò piano piano la protagonista delle mie giornate.

La mia vita non mi regalò molte gioie ma la Storia dell’Arte colmava tutto il mio vuoto, ed entrava dentro me come un jolly sistemandosi in tutti i pezzi mancanti del mio puzzle. La sentivo mia, parte di me stessa, e scappavo da Lei ogni volta che volevo sentirmi viva e serena. Come la musica, sembrava darmi proprio quello di cui avevo bisogno nel momento giusto. Sentivo le sue braccia avvolgermi e magicamente mi ritrovavo in un mondo diverso, fatto di colori, di emozioni, di gioie e di sensazioni forti e piacevoli. Piano Piano la frequenza con cui scappavo da Lei aumentava sempre di più, diventando quasi la ragione di ogni mia giornata, la mia vera gioia.

Fatta la maturità, avrei voluto fare di tutto tranne gli Studi Umanistici. Questa esclusione era dovuta solo dalla grande paura riguardo al mio futuro. Nonostante amassi l’Arte, non riuscivo a vederla come lavoro, ma bensì solo come passione.

Questo forse perché volevo proteggerla dalle paure, dalle circostanze, tenendola così un pensiero felice, trasparente e spensierato.

Mi sono ritrovata sulla scrivania Alphatest di Medicina, di Professioni Sanitarie, di Economia e addirittura di Scienze della Formazione (i bambini, l’altra mia grande gioia).

Quell’estate fu lunga e difficile. Una sera facendo una simulazione di Medicina qualcosa in me si ribellò: chiusi tutti quei libri, li misi via dalla mia vista e mi rifugiai in un angolo a leggere un libro di Storia dell’Arte. Improvvisamente non mi sentii più persa, mi ritrovai.

Ero felice ma spaventata, pensavo di continuo al “Sto facendo la strada giusta? Questo campo é cosi ristretto e difficile. Tutti questi sacrifici mi porteranno delle soddisfazioni o mi ritroverò poi in mezzo ad una strada?”.

Tutti i miei familiari continuavano a starmi vicino e a ripetermi che dovevo studiare ciò che amavo davvero ma io avevo gli occhi e il cuore coperti dalla paura.

Un giorno mio papà mi convinse, le sue parole furono un raggio di sole in un tunnel che pareva lungo e buio.

“I tuoi sacrifici saranno ricompensati se li impieghi in ciò che ami. Nessuno studio ha delle garanzie o delle sicurezze, ciò che senti son solo dicerie. Ognuno di noi deve affrontare prove difficili nel mondo del lavoro, non c’è uno studio migliore di un altro. Sei tu che fai la differenza”.

E’ normale sentirsi in difficoltà quando si sta facendo qualcosa di importante, ma non bisogna mai avere così tanta paura da voler abbandonare un percorso.

Io ho imparato che la Vita è come un aquilone: vola in alto, influenzato dal vento si sposta da una parte all’altra, ma è indispensabile che siano le nostre mani a guidarlo, sempre. In questo modo l’aquilone sì, si sposterà senza preavvisi, ma restando sempre all’interno di una traiettoria definita da noi stessi.

Mio papà mi fece capire che quella era la mia strada, ed io lo nascondevo a me stessa e così facendo rischiavo di portarmi un grande rimorso se avessi fatto altro.

La sua presenza fu per me un’ancora che finalmente mi trascinò in fondo al mare, decisa e senza ripensamenti.

Sembrerà strano per voi il fatto che io associ la figura dell’ancora in questo modo, ma vi posso assicurare che la sensazione fu forte e significativa. E da quel giorno rimasi ancorata toccando le profondità più nascoste, ammirando le meraviglie con gioia e senza paura.

Così mi iscrissi a Beni Culturali a Torino, e lì cominciò la mia Vita. Da quel giorno la Storia dell’Arte rappresenta un’isola felice, e le tante lacrime che mi bagnano il viso davanti ad un’Opera sono per me la soddisfazione più grande. Sento che voglio costruire la mia vita su questa emozione, non importa cosa sarà di me tra 10 o 20 anni. Ma non voglio e non devo preoccuparmi di qualcosa che ora non esiste. Ora devo preoccuparmi soltanto del presente, portando i migliori risultati nella mia carriera universitaria, concentrandomi anche sulle esperienze che mi formeranno sul campo.

Sono entusiasta della mia scelta, mi sento appagata ogni giorno. La Nike non mi abbandona, farò della mia vita una continua Vittoria.

A te, meravigliosa Arte, madre di cotante meraviglie, dedico questa Poesia.

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio

o freccia di garofani che propagano il fuoco:

t’amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca

dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;

grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo

il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,

t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:

così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,

così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,

così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
(Pablo Neruda)

E’ meraviglioso poter scrivere per “Sul Parnaso”, un’altra meraviglia che mi tratterrà ancorata alle profondità.

Non voglio salire in superficie, questo è il mio posto e non ho bisogno di respirare. Non ho paura di restare.

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LA BELLEZZA DEL CORAGGIO

LA BELLEZZA DEL CORAGGIO

d Filippo Musumeci

Mezzanotte alle porte, ove il dì muore e l’altro scorre.
Entro mute pareti di quartiere il cadenzato vissuto retablo,
in cuor suo, fiacco di gesti vani e pensieri oziati.
Desìo del segno copioso, che scuoti il nervo con tratto distorto
e di razzia sia dell’arcigna viltà invitta.
Tempo malsano, spazio svuotato, bieco disincanto.
Ove febbrile danza di fecondi sguardi,
di acuti interscambi, di folgori illuminanti? (Filippo Musumeci)

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A te il mio pensiero, caro Oscar, nel fitto blu di questa notte, rischiarato solo a tratti dall’artificio delle urbane luci, tra alternati cigolii motori incisi sull’asfalto da ignote viventi figure. Un sibilo e un altro ancora… poi, il silenzio, presto spezzato. Quella morsa al petto ti opprime e non l’arresti; sadica ti sfida e sadica s’imprime, ora, mentre tace il domestico focolare.
A te il mio De Profundis con le medesime tue parole, poiché «la sofferenza (per quanto ciò ti possa apparire strano) è ciò che ci tiene in vita, poiché essa è l’unico modo che abbiamo per avvertire la vita». E per avvertire codesta vita rimetti ogni dovuta speranza, ogni labile ambizione, nelle mani di altri simili che il caso o fato ha posto guardingo al tuo cospetto, pronti, loro, a edificare l’irrevocabile giudizio sul tuo operato che non puoi declinare, che non puoi ignorare.
Da qui la mossa con cui ti giochi la tua credibilità. Tre soli imperativi: convincere, emozionare, stupire. Costi quel che costi, perché tu stesso m’insegni che «esistono due modi per non apprezzare l’arte. Il primo consiste nel non apprezzarla. Il secondo nell’apprezzarla con razionalità.»
Bernard Berenson era lapidario: «credo che un vero amore per l’arte sia un dono, quanto il crearla; e può anche essere che entrambi scaturiscano dalla stessa sorgente.»
Sagge parole! Ma se del dono si è privi (e non di rado) la sorgente ne risulta arida e spetta a chi di dovere alimentarla con nuova enfasi e nuova esperienza.
Ricordi quando dicesti che «Respingere le proprie esperienze significa arrestare il proprio sviluppo. Rinnegare le proprie esperienze significa mettere una menzogna sulle labbra della propria vita»?
E di tale esperienza il tuo fantasma assiso mi dice di far tesoro senza “ma” e senza “se”, seppur dei miei limiti non faccio mistero.
Medita studente, medita!! Perché la nostra epoca è fuggente quanto vana; predica bene e razzola male; propina stereotipi effimeri, come effimeri gli effetti che ne verranno.
L’amico Oscar continua a ripetermi imperterrito che «le cose sono nella loro essernza quel che noi vogliamo fare di esse. Quel che una cosa è dipende dal modo in cui la guardiamo». Ed io voglio guardare ancora a questa bellezza che di me fa una persona migliore; voglio ancora ardere nei piaceri dell’arte, sentirne l’odore e assoporarne il sapore insaziabilmente. Di questo coraggio morale ho bisogno. Ma ciò «potrà avvenire solo se lo accetterò come parte inevitabile dell’evoluzione della mia vita e del mio carattere».
Su questo punto siamo d’accordo, caro Oscar. È coraggio, infatti, quello di briosi studenti, come molti incontrati, che dalla massa conforme cercano fuga e forgiano l’alternativa solida e lungimirante, poiché essa è possibile ancora!
Al dì, coloro compiono il passo cadenzato varcando la soglia di un fabbricato che dell’usura del tempo porta in sé segni evidenti, ma, da questi, vissuto come scrigno del sapere e giammai come penitenziario. Muniti d’intriso garbo non arretrano e sfidano la prova, come molti, più degli altri. Allievi poco lenti e tanto rock, con un sorriso così: di quelli che ti stendono e che a raccimolarne i cocci di quell’uggioso umore che indossavi curvo all’alba, appena ridestatoti, si fa fatica, poi, rimodellare.
Il loro è coraggio morale! Quello delle grandi occasioni; da aggiudicarsene il lotto all’asta con tenace astuzia, poiché se n é compreso il vero valore, al di là d’ogni irragionevole dubbio. Il loro è l’esempio di una svolta possibile e concreta, purché sentita e vissuta senza remora alcuna. Di questa bellezza si ha disperato bisogno! Di queste opere viventi in controcorrente se ne sente la presenza al pari di un caldo e stretto abbraccio nella gelida superficialità – senza distinzioni d’età anagrafica – di sboccati eccessi, tutti in marcia alla conquista di “carni di bambola”.
Rimembro commosso le felici scelte di Sara, Noemi e Giulia (prossime e brillanti docenti di Storia dell’Arte); di Elisa, Nichol e Irene divise tra Architettura e Accademia. Rimembro altrettanto commosso Omar, Carlo Maria, Serena, Silvietta & Co., che pur avendo intrapreso altre strade non mancarono, anni or sono, di entusiasmarsi sinceramente in quel di Roma dinanzi alle eterne vestigia dell’Impero Romano e alla gloria della Renovatio urbe Romae condotta da Bramante, Raffaello, Michelangelo, Fontana e seguenti. Si sentirono spettatori delle scenografiche creazioni di Bernini, Borromini e Cortona; ed esterefatti rimasero, poi, al cospetto delle scene immortalate da quel genio che è l’altro amato Michelangelo… il Merisi da Caravaggio.
Onore a voi tutti, cari studenti, al vostro ardire, al vostro ardore, per cui ci si spende in pensieri e parole affinché tutto non fugga via e sia vano, ma evolutivo.
Onore per le “notti insonni” trascorse a capo chino su volumi corposi e ostici tra l’andirivieni di pesanti dolenti palpebre, mentre tutto fuori è chiassoso rumore, condannato a spegnersi senza sconto né alcun clamore.
Onore al vostro etico coraggio, che di Aristotele n è degno figlio quando questi chiosò che il singolo «temerà, dunque, anche le cose a misura d’uomo, ma vi farà fronte come si deve e come vuole la ragione, in vista del bello, perché questo è il fine della virtù».
Oscar sta per lasciare queste quattro mura e ritornare all’Olimpo dei “Superiori”, non prima, però, di regalarmi l’ennesimo sguardo e un ultimo saluto, che entrambi ricambio.
– A presto, amico mio! Ci si rivede, non dubitarne!! Sei ancora giovane, mentre io porto il fardello dei secoli già andati. Lord Henry non fu, certo, uno stinco di santo, lo sappiamo bene, e lo stesso Dorian ne pagò le conseguenze sulla propria pelle. Tuttavia disse anche cose sagge, come questa che ti lascio e che potresti rivolgere ai tuoi studenti: «Oggigiorno la gente ha paura di se stessa. Tutti hanno dimenticato quello che è il più alto di tutti i doveri, il dovere che abbiamo verso noi stessi».

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ARS GRATIA ARTIS. L’utilità della Storia dell’ Arte agli occhi della giovane Chiara Rubeo.

ARS GRATIA ARTIS.

L’utilità della Storia dell’ Arte agli occhi della giovane studentessa Chiara Rubeo.

di FIlippo Musumeci e Chiara Rubeo

Lo scrittore francese Stendhal asseriva che “il bello non è se non la promessa della felicità”.
Ma cosa s’intende per “bello” e cosa per “felicità”?

Fiumi d’inchiostro stesi sin dall’antichità greca al fine di offrire esaustiva speculazione ai due concetti astratti, di generazione in generazione, tra i più “comodamente” usuali  della lingua parlata e scritta.

Parafrasando Platone: «il bello è lo splendore del vero» e il “vero” è l’idea,vale a dire la forma autentica della realtà certa e immutabile, quella forma di cui non si può dire per nessun motivo che sia errore ed opinione. (Repubblica).

Featured imageSecondo il pensiero greco, il “bello” interessa sia la sfera prettamente sensibile (formale ed estetico), quanto quella intelligibile (ontologica e morale). Da questa duplicità nascerebbe il concetto di “Bello ideale”, ovvero l’ideale di perfezione dato dall’unità del “bello” e del “bene” (buono), noto come “Kalos kai agathòs”.

POLI

Per comprendere, poi, la “felicità” giunge in nostro soccorso Seneca, per il quale essa è: «un dono proprio di un animo libero, elevato,intrepido e costante,lontano da timori e desideri, per il quale l’unico bene è l’onestà e l’unico male la disonestà» (La felicità).

Le affascinanti e sottili sfumature concettuali, brevemente accennate sopra, sono il fondamento stesso del pensiero occidentale, insito nell’evoluzione spazio-temporale delle Arti definite “visive”, materia di studio della Storia dell’Arte.

Ora – potendo “oscurare” (e sarebbe una santa cosa!) l’esercito dei “parassiti” che infetta l’intero globo, al pari di un virus letale, con tutto il suo seguito di oscena superficialità – per chi di dovere, ossia per chi ha ostinatamente saputo innalzare la Storia dell’Arte agli altari della gloria, dandole degna celebrazione e proclamandola principio e fine della propria esistenza, è consolidata consuetudine dover chiarire l’utilità, o meglio la necessità, di apprenderne la dovuta conoscenza. Penso a quei pilastri della critica d’arte (l’elenco è praticamente infinito) senza i quali mancherebbe il codice di lettura iconografico-iconologico.
Ma quando ciò viene, piuttosto, lucidamente chiarito da una studentessa di Terza (oggi Quarta) Liceo Classico, da poche settimane, or sono, partecipe del nuovo corso curricolare, beh, a mio dire, la musica cambia!
Questa, difatti, è composta da sonorità che hanno un’origine lontana e ben diversa da quella più propriamente editoriale e accademicamente impegnata sul campo.
Sorprende e commuove (specie di questi amari tempi) quanto l’ethos di un essere, appena apertosi a quel regno incantato, che è l’Arte, sappia far vibrare le corde più recondite dell’animo, intuendo da sé quanto ogni pietra scolpita abbia una “verità” da svelare, quanto ogni dipinto una “felicità” da consegnare, quanto ogni opera un “bello” da eternare.
Non credete alle mie parole? Allora l’invito è di leggere attentamente quanto composto (a mia insaputa e con sincero stupore) da una mia alunna, Chiara Rubeo, per la pagina del Giornalino scolastico del Liceo “Filippo Juvarra” di Venaria Reale.

Ars gratia artis
(l’arte per l’arte)
«Non studiare la Storia dell’Arte nascendo e crescendo in Italia è una contraddizione storica, culturale e quasi genetica che non possiamo assolutamente permetterci».

È risoluta Stefania Giannini, Ministro della Pubblica Istruzione, nel difendere una delle materie che nel sistema scolastico italiano hanno subito in maniera particolare tagli e indifferenza. Oggi, però, le sorti di questa disciplina sembrano potersi risollevare grazie alla riforma presentata dal governo Renzi, che promette di ripristinarne le ore e potenziarne l’insegnamento. (promessa non mantenuta!! n.d.r.)
Ma che significato assume oggi lo studio dell’Arte?
Innanzitutto è un modo per seguire da vicino l’evoluzione dell’immaginario umano, che si trasforma in relazione al gusto, alla percezione, all’estetica. All’interno di una realtà in continua evoluzione, l’Arte è la traccia indelebile che l’uomo lascia della sua esistenza alle generazioni future.

CASO


Lo spirito artistico è innato nell’essere umano: la creatività si manifesta prima che egli impari a esprimersi per mezzo della lingua , realizzando le prime immagini rupestri al fine di soddisfare l’esigenza istintiva di trasmettere e condividere la propria visione della realtà.

CH L’Arte è, quindi, comunicazione. Inoltre, è un vero e proprio linguaggio fatto di emozioni suscitate, capace di esprimere la forza, la profondità e la purezza di concetti non descrivibili a parole.
L’Arte insegna a confrontare e a mettere in discussione le proprie opinioni: è il risultato di un processo che, partendo dall’osservazione della realtà, attraverso la scomposizione e la rielaborazione delle immagini, la ricerca e l’espressione dell’io, contribuisce alla comprensione della realtà.

GUARINI L’Arte è forza rivoluzionaria, capace di muovere ideologie e masse. L’Arte è denuncia. Ma prima di tutto è potenza del pensiero umano, purezza spirituale, universale e immortale. Riguarda tutti gli uomini, a maggior ragione noi italiani, figli, non a caso, del Bel Paese.

(Chiara Rubeo)

N.B. Converrete con me che la ragazza ha le idee decisamente “chiare”! E, magari, queste sue felici riflessioni potranno “dare una mano” a chi avesse dubbi in merito all’utilità (o no) della Storia dell’Arte, quale disciplina curricolare per il corpo studentesco.

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