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Il Mosaico: la pittura per l’eternità
Arte e tecnica sono intimamente connesse, comprendere queste connessioni è la chiave per comprendere molti sviluppi e orientamenti analizzati dalla Storia dell’Arte. Motivo per cui tra i temi trattati vogliamo considerare anche gli aspetti tecnici sia dal punto di vista formale che storico e pratico. Qui cominciamo con una delle tecniche più durevoli: il mosaico.
Tecnica antichissima, può a buon diritto chiamarsi pittura per l’eternità (come fu definita dal Ghirlandaio), infatti in condizioni di stabilità del supporto a cui aderisce, il mosaico può perdurare per tempi lunghissimi. Abbiamo infatti pregevoli mosaici risalenti ad epoche antichissime.
Il termine deriva dal latino opus musivum con probabile riferimento alle Muse e alle decorazioni delle grotte dedicate ad esse. Gli esempi presenti in Grecia, per esempio, ci permettono insieme alla pittura vascolare, di ricostruire i primi passi della pittura tradizionale (su tavola o murale) di cui invece non abbiamo quasi più traccia. Del resto spesso con il termine mosaico spesso si comprendono tecniche differenti come il litostrato in cui però non vi è l’impiego di tessere ma di ciottoli variopinti.
Sicuramente l’opera più nota di questa tipologia è la Battaglia di Isso scoperta negli scavi di Pompei e probabilmente copia di un mosaico più famoso di Filosseno da Eretria.

Tracce di mosaico con tessere vitree sono note in Egitto ma la tecnica ebbe più larga diffusione in epoca romana e Plinio riporta alcune notizie sulle origini nel Naturalis Historia. Probabilmente per ottenere effetti cromatici più intensi e ricchi si pensò di introdurre accanto alle normali colorazioni delle pietre le tessere in pasta vitrea.
Le modalità tecniche
Per creare il mosaico sull’intonaco veniva steso, ma solo nell’area lavorabile nell’arco di poche ore, uno strato di mastice. Su questo supporto adesivo andavano adagiate le tessere musive, con dimensioni variabili in base alla disposizione, più piccole se destinate a riprodurre le figure, più grandi se utilizzate per lo sfondo. Le tessere potevano essere in terra cotta, in vetro trasparente o opaco oppure auree. Le opere realizzate spesso quali inserti della decorazione parietale erano spesso delimitate da cornici di conchiglie.

Il mosaico bizantino
Nell’Arte bizantina il mosaico diviene l’espressione artistica più caratterizzante, esprimendo al meglio le peculiarità delle figurazioni sacre. Anche la tecnica si evolve: oltre all’utilizzo di gamme cromatiche sempre più ampie e preziose si impiega un letto di intonaco più fine e resistente. In particolare gli sfondi realizzati con tessere dorate contribuiscono alla suggestione di una realtà divina e ultraterrena, aggiungendo ieraticità alle figurazioni.
Gli edifici sacri ravennati, realizzati tra il V e il VII secolo, accolgono alcuni tra i più straordinari mosaici bizantini come il Mausoleo di Galla Placidia o la Basilica di San Vitale.
Le figure, frequentemente, vengono realizzate a parte e poi aggiunte alla decorazione musiva delle pareti, per consentire di elaborare con maggiore cura i dettagli più raffinati.
Non ci sono descrizioni della tecnica risalenti al periodo bizantino ma dalle stesse opere emerge la presenza di tre stati di intonaco man mano più fine, le dimensioni medie delle sezioni che i mosaicisti riuscivano a realizzare nell’arco di un giorno (circa 50 x 50 cm) e le modalità di disegno della figurazione. L’artista delineava le figure sull’intonaco fresco e col tempo cominciò a realizzare una sorta di affresco come disegno di base, come appare evidente nei mosaici di San Marco a Venezia.
L’evoluzione basso-medievale
Con l’invenzione del linguaggio italiano anche in pittura, l’impiego del mosaico si riduce notevolmente. La tecnica ricalca quella pittorica dell’affesco, per cui le tessere assumono forme diverse e soprattutto si dispongono a seguire l’andamento del disegno. Nei dettagli i mosaicisti impiegano tessere di dimensioni molto piccole per poter registrare meglio i passaggi di ombra e di luce.

Dal periodo rinascimentale in poi la tecnica musiva cade in disuso e solo pochi artisti decidono di impiegarla. Tra questi Raffaello che affida al veneziano Luigi De Pace, la decorazione musiva della cupola di Santa Maria del Popolo su suoi disegni.
La tecnica musiva torna in auge nel XX secolo come vedremo in un prossimo post dedicato al mosaico nell’Arte contemporanea.
Un dono

È stato un giorno concitato e pieno di entusiasmo sia per me che per il mio collega Filippo, che tanto impegno e ardore sta mettendo in questo sogno che si trasforma in realtà. I nostri discorsi oggi avevano un segno particolare, vertevano sulla gentilezza e sul dono gratuito e speciale che gli appassionati autori di blog che consideriamo nostri modelli hanno fatto a noi che abbiamo appena iniziato a sperimentare questa forma di condivisione e comunicazione.
Con questo post vogliamo ringraziare per la loro generosità:
• Kunst
• Mostre-rò
• Didatticarte
L’Arte è gioco, è offerta generosa di sé, è soprattutto dono…Cadeau…Man Ray.
Opera a dimensione umana, realizzata con impulso autentico e assoluta libertà. Opera pregna di significati e di possibilità, in bilico tra Surrealismo e Dadaismo, capace di dare nuovo significato ad un umile oggetto quotidiano, di trasformare la prosa in poesia e in sogno immaginifico.
La magia di un Dono. Grazie
Tempus fugit
TEMPUS FUGIT
di Emanuela Capodiferro
Tempus fugit, dicevano gli antichi, e difficilmente qualcuno non concorderà con loro. Oggi più che mai, nell’era dei messaggi istantanei, del vediamoci su facebook, del pronto in tavola, del fast food & fast travel e delle mille cose che rendono tutto più veloce, mentre le nostre vite sono sempre più compresse, sempre più prive di tempo per noi, di tempo che conta per noi.
Questo spazio nasce su stimolo del mio caro amico e collega Filippo con cui condivido la passione sincera per l’Arte e per l’Educazione.
Collaborare alla creazione di questo blog rappresenta un modo per riprendere il mio tempo, per occuparmi di ciò che amo, scoprendo, condividendo e confrontando nuove visioni dell’Arte.
E quindi comiciamo dal Tempo e dalla visione terrificante che di esso ci offre uno dei giganti della Storia dell’Arte di tutti i tempi:Goya.

Un visione che anticipa di quasi un secolo gli esiti più cupi dell’Espressionismo novecentesco e che descrive la disumana crudeltà del nostro più inesorabile nemico: il Tempo.
L’opera appartiene al periodo più tardo di Goya ed anche più tragico, segnato dalla sofferenza di una grave malattia. Appartiene al ciclo delle “pitture nere” e rappresenta Crono, il padre di Zeus, nell’atto di divorare i suoi stessi figli ed è anche allegoria del principio distruttore, insito in ogni vivente, Chronos, il Tempo. Non vi sono committenti da soddisfare ma solo emozioni da esprimere, per cui Goya non cerca di piacere.Le pennellate sono crude e rapide, i toni cupi lasciano emergere solo il rosso del sangue e delle membra strappate. Protagonista è lo sguardo folle e agghiacciante del padre che dilania il figlio.
Goya mette in campo un modo nuovo per indagare il lato oscuro dell’uomo, dipinge gli istinti più irrazionali e violenti, riflette su aspetti che raramente, almeno nell’arte prenovecentesca, erano stati considerati. Ma soprattutto è il modo che è nuovo e in assoluto anticipo.
p.s. mi sono alzata con il piede storto…
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