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L’Immacolata di Crivelli tra frutti e fiori

La mia ultima visita a Brera mi ha permesso di apprezzare un artista rinascimentale davvero peculiare: Carlo Crivelli (Venezia 1430 ca. – Ascoli Piceno 1495). Raffinatissimo ma decisamente attardato per quanto riguarda lo stile che è indiscutibilmente tardogotico. Gli sfondi restano dorati come quelli di Gentile da Fabriano. La cura dei dettagli è fiamminga. La linea incisiva ed espressiva riprende quella dei Vivarini. È vicina a quella del Mantegna, ma Crivelli raggiunge obiettivi molto differenti, non ricrea uno spazio narrativo. Per lui, il dipinto è un oggetto prezioso e parzialmente tridimensionale. Ottiene questo effetto tramite la sovrapposizione di più materie pregiate, ornate con estrema cura. Include figure eleganti e statuarie, sebbene innaturali ed eteree. Il pittore ama imitare stoffe preziose, copia marmi pregiati e gemme rare. Nei lucenti sfondi dorati immerge le sue Madonne diafane e aggiunge un’abbondante serie di simboli e decori. I più curiosi sono i frutti rappresentati con estrema verosimiglianza, sembra quasi di potersene cibare.

L’Immacolata Concezione della National Gallery è un esempio della maniera più matura e personale di Carlo Crivelli che, quasi dimenticato in Italia per secoli, ebbe particolare fortuna in Inghilterra nel XIX secolo, probabilmente grazie all’apprezzamento dei Preraffaeliti per cui rappresentava il connubio perfetto tra maestria tecnica, gusto per la decorazione e aspirazione ad una bellezza ideale e pura.

Carlo Crivelli dipinge l’Immacolata per la Chiesa di San Francesco a Pergola, una cittadina delle Marche. L’immagine della Vergine è inusuale in quanto non sorregge Gesù Bambino.

Chiesa si San Francesco, Pergola

La rappresentazione della Vergine è volta ad esprimere la dottrina teologica dell’Immacolata Concezione, un’idea controversa che divenne dogma per la Chiesa solo nel 1854 ma che viene sostenuta dai teologi francescani già nel 1300 con Duns Scoto.

La Vergine è inserita in una nicchia di marmo dallo sfondo dorato lucente, simbolico del Paradiso. I capelli incorniciano regalmente il viso delicato e due angeli la incoronano con un diadema cesellato sullo sfondo dorato ricco di pietre preziose. Sostenuto dagli angeli anche un lungo cartiglio su cui è scritto: “Come dall’inizio sono stata concepita nella mente di Dio, così sono stata concepita anche nella carne”. Queste parole bibliche affermano l’idea che la Vergine esistesse nella mente di Dio prima di esistere nella carne.

In alto, Dio Padre benedice la Vergine da una nube azzurra del Paradiso, su di lui si affolla una schiera di serafini rossi. Lo scorcio prospettico è molto complesso, anche perché accosta dettagli anatomici a elementi astratti come i raggi e la colomba dello Spirito Santo. Al realismo dei dettagli si accosta il simbolismo degli oggetti quasi fotografici: le rose rosse e bianche rappresentano la carità e la purezza della Vergine, i gigli rappresentano l’incarnazione di Cristo.

Carlo Crivelli cura moltissimo la resa dei tessuti, da quelli della veste in broccato rosso della Madonna, al mantello damascato blu e oro fino al telo rosso e argento alle spalle della figura che scende fino ai piedi. Pergola era un importante centro di produzione tessile e forse Crivelli ha voluto sottolineare anche questo aspetto.

I volti dell’anima: omaggio a BARTOLOMEO CESI (Bologna, 16 agosto 1556 – 15 agosto 1629)

Bartolomeo Cesi, l’artista a cui dedichiamo oggi il post, è uno dei principali campioni dell’arte religiosa regolamentata dalla Controriforma, ossia dall’autorevole voce del Cardinale Paleotti che, con il Discorso intorno alle immagini sacre e profane, definisce  un nuovo canone per la pittura da cui siano bandite le tracce di nudo o di lascivia, in quanto le opere d’arte liturgiche sono mediatrici degli stessi contenuti religiosi e non devono distogliere il fedele dal pensiero cristiano.

Gli inizi del Cesi sono stati tuttavia più manieristici, accostabili alla leggerezza delle narrazioni ariostesche, accanto ai fratelli Carracci, con gli affreschi della Galleria di Palazzo Fava, decorata con le storie dell’Eneide.

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Enea trova il ramo d’oro, Bartolomeo Cesi, Palazzo Fava, Bologna, 1584-85 ca.

In seguito il suo stile si fa più sobrio e veristico, si accosta certamente all’Accademia dei Carracci e si fa influenzare dai dettami della Controriforma. Il nuovo stile è chiaramente espresso in uno dei pochi ritratti attribuibili all’artista bolognese, Il ritratto di giovane dama conservato nella Pinacoteca di Bologna, dove i tratti fisionomici non sono generici e i dettagli dell’acconciatura e dell’abito sono trattati con molta cura.

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Ritratto di giovane dama, B. CESI, olio su tela, ca. 1585, Pinacoteca Nazionale, Bologna

Gran parte delle opere di Bartolomeo Cesi sono inserite in contesti religiosi o in ogni caso elaborate in origine per essi. Eliminato ogni elemento decorativo che possa distogliere dalla riflessione devota, nelle sue opere emerge l’essenziale a favore della comprensibilità dell’opera che deve porgere il suo messaggio anche ai fedeli meno istruiti con la massima semplicità.

Il ciclo decorativo della Certosa di San Gerolamo offre un chiaro esempio del punto d’arrivo della pittura del Cesi.

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Crocifissione, pannello centrale, 1612-16, Certosa di San Girolamo, Bologna

Pittura che poggia su studi dettagliati dei particolari, su cromie tenui e un’accurato impiego di forme e linee che gli derivano dallo studio approfondito della pittura toscana dell’ultima parte del XVI secolo.

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Incarnazione di Maria Vergine in sant’Anna come Immacolata Concezione (particolare), olio su tela, 1593-95 ca.,  Pinacoteca Nazionale di Bologna

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