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Una Crocefissione per ricordare la Liberazione

Oggi è un 25 aprile speciale, sono passati ben ottant’anni dal 1945, l’ultimo anno di guerra, il primo di ritorno ad una vita libera e alla visione di un nuovo orizzonte pieno di speranze per ogni italiano. I testimoni di quei tempi sono pochi e le testimonianze non vengono accolte che da pochissimi. Le atrocità della guerra sono lontane e la loro diffusione sui media le rende astratte e inconsistenti.

Su questo blog solitamente non parliamo di politica ma di storia ed emozioni sì. Ricordare quello che è stato può aiutarci a pensare come vorremmo vivere il nostro presente e disegnare il nostro futuro.

Ripartire dal passato con la Crocefissione, l’opera di Renato Guttuso, uno dei maggiori pittori di Storia del Novecento italiano, mi sembra un buon modo per accendere la memoria su questo giorno da festeggiare in modo “sobrio” secondo le attuali indicazioni istituzionali (anche perché solitamente si festeggia con balli notturni, fuochi pirotecnici, fiumi di alcool e mangiate pantagrueliche).

RENATO GUTTUSO, Autoritratto, 1975, Collezione privata

L’artista

Guttuso nato a Bagheria vicino Palermo il 2 gennaio del 1912, comincia ad appassionarsi alla pittura fin da bambino, suo padre è appassionato di acquerello e inoltre frequenta la bottega di un decoratore di carretti siciliani restando fortemente impressionato dalle scene dipinte secondo l’antica tradizione siciliana. Qualche anno più tardi frequenta lo studio del futurista Pippo Rizzo e nel 1928 partecipa alla sua prima mostra collettiva. Nel 1931 è ammesso alla Quadriennale d’Arte di Roma e per la prima volta si reca nella capitale in cui qualche anno dopo si trasferirà e dove allaccerà importanti amicizie con artisti e intellettuali. Oltre all’attività artistica si occupa anche di critica d’arte scrivendo articoli su Picasso e Scipione.

Nel 1935 presta servizio militare a Milano e si lega con numerosi artisti fondando il gruppo di “Corrente” in opposizione alle manie di protagonismo del regime fascista.

RENATO GUTTUSO, Fuga dall’Etna, 1939, Roma, Galleria Nazionale di Arte moderna

Fuga dall’Etna

Due anni più tardi si trasferisce definitivamente a Roma e vive una stagione artistica molto feconda intrecciando una profonda amicizia con Alberto Moravia e dando vita ad opere importanti come la Fuga dall’Etna. Qui Guttuso non si limita a rappresentare luoghi e fatti a lui noti ma li usa per evocare una dimensione universale che racconta solo in apparenza la gente della sua terra in fuga dalla furia del vulcano ma in realtà rappresenta il dramma degli uomini in fuga dalla violenza dei regimi che in quegli anni stanno soffocando la libertà in tutta Europa.

Lo stile è una fusione di realismo ed espressionismo, il groviglio dei corpi è carico di forza, anche i colori sono intensi ma non sempre realistici evidenziano la tensione simboleggiata dal calmo blu del mare sullo sfondo a destra contro il rosso infuocato della lava che cola dalla montagna scura sulla sinistra.

RENATO GUTTUSO, Crocefissione, 1940-41, Roma, Galleria Nazionale di Arte moderna

La Crocefissione

Altrettanta drammaticità è presente nella Crocefissione del 1941, sicuramente l’opera più famosa dell’artista siciliano e non solo per lo scandalo che suscitò durante la sua prima apparizione sia da parte della Chiesa che del regime a causa della Maddalena nuda che abbraccia il corpo ferito di Cristo, ma in quanto rappresenta il raggiungimento della maturità di Guttuso che riesce a esprimere in un modo nuovo e moderno tutto il dramma dell’umanità. I vari gradi di rosso esprimono la violenza, il tratto spezzato è un richiamo alla pittura di Picasso in Guernica, anche se figure e oggetti non perdono concretezza. I tre crocefissi sono collocati in modo inusuale, secondo una diagonale e i cavalieri che ruotano attorno contribuiscono a creare una sensazione di movimento rafforzata dal paesaggio sullo sfondo. Pieni di dolore sono i gesti delle donne, quella accanto alla Maddalena che si copre il viso con un gesto disperato e quella coperta dal ladrone rosso che apre le braccia evocando un urlo straziante. Evocativa è anche la natura morta caratterizzata da oggetti taglienti e appuntiti fatti per trafiggere, lacerare e squarciare: distruggere l’uomo e la sua dignità.