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LETTURA OPERA: “IL BACIO” DI FRANCESCO HAYEZ
di Filippo Musumeci
► Opera: “Il bacio”
– Anno: 1859
– Tema: storico – allegorico
– Tecnica: olio su tela
– Dimensioni: 110 x 88 cm.
– Luogo di ubicazione: Pinacoteca di Brera – Milano.
Lo spirito riformatore della nuova sensibilità romantica, sviluppatosi inizialmente nei territori d’oltralpe agli inizi del XIX sec., tardò ad attecchire nel suolo italiano per via del teso clima politico pre-unitario in cui versava la Penisola. Fu solo negli anni Venti dell’Ottocento che si compì un decisivo slancio verso l’orizzonte romantico, tradotto nel genere della pittura di storia, degna interpreta delle istanze civili e degli ideali patriottici risorgimentali. Attraverso la rievocazione storica di eventi medievali dal consolidato e attuale contenuto simbolico, nasceva, dunque, un forte sentimento nazionale quale erede della gloriosa età comunale, tenacemente coesa contro le invasioni straniere. È nella ricerca delle proprie radici storiche che il Medioevo diviene per l’uomo dell’Ottocento una seconda età della fanciullezza, ove rifugiarsi per ritrovare una coscienza, allo stesso tempo, individuale e collettiva, fondata su quei valori spirituali tanto professati dal Cristianesimo e tanto cari, non utime, ai liberi Comuni medievali.
La specificità della stagione romantica italiana risiede proprio in questo deciso impegno ideologico per l’Unificazione del paese, differenziandolo dai coevi movimenti europei ma con i quali condivide la rivalutazione della natura come immediata manifestazione del divino e degli affetti sociali, in uno stretto rapporto tra sentimento religioso e patriottismo.
Pittore veneziano di formazione neoclassica, caposcuola e maggior interprete del Romanticismo storico italiano, Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 21 dicembre 1882) seppe trasfondere la dimensione epica del dramma antico nelle rievocazioni medievaleggianti cariche di sentimentalismo. Alessandro Manzoni, sosteneva che la sua pittura romantica non nasceva da idee filosofiche, ma dal puro sentimento. In realtà le sue creazioni, dal disegno accademico di matrice neoclassica, ma dal colore caldo e dai toni appassionati, con una forte tensione comunicativa, rispecchiano esattamente gli ideali risorgimentali dell’epoca, Nei suoi dipinti seppe infondere una carica sentimentale che accentua la loro funzione ideale di interpretare le aspirazioni risorgimentali alla libertà e all’identità nazionali, già esaltati dalle liriche di Giuseppe Verdi e Gaetano Donizetti. I protagonisti delle sue tele celebrano i valori civili di fine Ottocento sotto le simboliche vesti medievali, presentando atmosfere artificiali e gli eventi storici che vi sono rappresentati sembrano svolgersi su un palcoscenico come una piece teatrale.
Scrivo poco, lo so!! Il tempo mi è ostile, sapete! Ma spero di farmi perdonare con l’indagine che segue (spero non banale).
Opera celeberrima della pittura storica romantica italiana fra le più popolari nell’immaginario collettivo; prototipo di una lunga e fortunata serie figurativa del tema “amoroso”, dispiegato per tutto l’arco cronologico tra Otto e Novecento (e anche oltre), nonché, in definitiva, capolavoro assoluto dell’intera produzione pittorica di Hayez, “Il bacio” venne realizzato nel 1859 su commissione di Alfonso Maria Visconti di Saliceto, il quale alla propria morte lo regalò alla Pinacoteca dell’Accademia di Brera, attuale luogo di ubicazione.
L’artista realizzò altre quattro versioni del medesimo soggetto: tre oli su tela e un acqurello su carta. I primi sono oggi in collezioni private, di cui una (l’unica in cui l’abito della donna appare bianco anziché azzurro e di cui si dirà in calce) realizzata nel 1861 per la famiglia Mylius è stata battuta dalla casa d’asta londinese Sotheby’s il 12 novembre 2008 per la somma di 416,000 sterline (pari a 570,000 euro). Questa fu esposta alla mostra “La Bella Italia” ospitata presso le Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria Reale (TO) dal 17 marzo all’11 settembre 2011 nell’ambito dei festeggiamenti giubilari “unitari” della penisola.
La versione ad acquerello su carta (di piccolo e ovoidale formato: 26,2 x 22,1 cm.), del 1859, dunque coeva a quella di Brera, è custodita alla Pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, ma dal 19 marzo, e fino al 30 agosto 2015, resterà esposta negli spazi museali di Palazzo Chiablese a Torino in occasione della mostra antologica di Tamara de Lempicka, curata da Gioia Mori e di cui si motiverà di seguito la presenza all’esposizione piemontese.
La prima (e ufficiale) versione del dipinto fu presentata nel 1859 all’Esposizione annuale dell’Accademia di Brera con il titolo originale di «Il Bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV», appena tre mesi dopo l’ingresso a Milano delle truppe sabaude di Vittorio Emanuele II (sovrano del regno di Sardegna e futuro primo re d’Italia) e dell’Imperatore francese Napoleone III, i quali con la vittoria di Solferino (Mantova) del 24 giugno 1859, nel contesto della Seconda Guerra d’Indipendenza, liberarono il Lombardo-Veneto dagli Austriaci, aprendo definitivamente le porte all’Unità d’Italia (17 marzo 1861).
Al centro di un interno medievale (probabilmente un castello, di cui è evidenziato lo sfondo murario color ocra, segnato da tre gradini di una scalinata sul margine destro), due giovani in abiti medievali si stringono e si abbandonano ad un bacio intenso, quanto furtivo, interpretato come l’addio del volontario patriota alla fanciulla amata.
Le due figure si stagliano nitide contro la parete di pietre squadrate dello sfondo medievale, la cui superficie uniforme è interrotta dal varco archiacuto gotico, introdotto da una sottile colonnina (alla sinistra dell’uomo), alla metà della quale è collocato il punto di fuga dell’impianto prospettico, e dall’accenno a una bifora in alto a destra, tagliata dal margine superiore della tela.
La fanciulla è pienamente abbandonata nell’amplesso, il cui braccio sinistro, portato in alto a stringere le spalle dell’amato, segue la linea d’orizzonte dello schema geometrico della composizione. L’uomo, a sua volta, bacia l’amata tenendole capo e viso fra le mani, appoggiando la gamba sul primo gradino della scalinata e assecondando, allo stesso tempo, la sensuale inclinazione del corpo femminile stretto al suo.
Tuttavia, l’impressione che se ne ricava da questa presunta instabilità fisica è quella di un triste e quanto prossimo commiato preannunciato dal tono melodrammatico dell’anelito sentimentale: lo stesso sentito negli ambienti risorgimentali preunitari e magistralmente interpretati nelle loro opere liriche (come succitato) da Verdi e Donizetti. Dunque, si ritroverebbe qui un’impostazione fortemente teatrale dalla dichiarata estrinsecazione dell’io soggettivo, ove l’ambientazione medievale, in linea con le tendenze estetiche neogotiche, rispecchierebbe gli ideali romantici in seno alla pittura italiana di metà Ottocento.
Sullo sfondo, la sagoma in penombra, vista di tergo, di una donna adulta (probabilmente la domestica), definita come un’immagine spettrale dalla luce che proviene dal piano sottostante, la quale disegna e proietta, inoltre, sulla parte in profondità la forma del vano archiacuto del primo piano.
In passato, a causa di una “superficiale” analisi iconografica, la sagoma in penombra sullo sfondo è stata ripetutamente ed erroneamente confusa e interpretata come quella di un uomo che spia furtivo la scena la scena o, piuttosto, giunto improvvisamente al fine di sollecitare il giovane patriota all’imminente dipartita.
Lo storico Giuseppe Nifosì (Arte in opera, vol. 4, Editori Laterza, 2015) afferma che: «in questo abbraccio e in questo bacio, l’osservatore presagisce il dolore per una partenza imminente e inevitabile: dopo l’addio struggente, la fanciulla resterà sola, carica di nostalgia, a cullarsi nella sua attesa malinconica, affranta per il timore di non rivedere mai più il suo amato».
Del resto, lo stesso tema del bacio, era già stato trattato da Hayez ne “L’Ultimo addio di Romeo e Giulietta” (1823; olio su tela, 291 x 202 cm.Tremezzo, Como, Villa Carlotta) la cui romantica scena prelude al dramma che di lì a poco travolgerà l’infelice coppia shakesperiana. Romeo con il piede già appoggiato allo scalino sotto la finestra e la mano aggrappata alla colonnina della bifora, mentre ruota la testa e il busto verso la dolce Giulietta, la quale bacia l’uomo abbracciandolo teneramente con il braccio destro.
Non a caso, il tema proposto da Hayez ricorda soggetti letterari travolti da un amore passionale e letale quali Paolo e Francesca della Divina Commedia dantesca e Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
A ciò si aggiunga il corposo ed eloquente citazionismo prodotto, già, dai contemporanei del pittore veneziano e direttamente ispirato alla sua opera.
Primo fra tutti Gerolamo Induno, il quale rese duplice omaggio ad Hayez: nel 1860, appena un anno dopo l’Esposizione di Brera del 1859, con “La partenza del garibaldino” (olio su tela, 59,8 x 45,3 cm. Milano, Collezione Cariplo), in cui il pittore lombardo ricontestualizza l’iconografia nel contesto realistico risorgimentale; e nel 1862 con il “Triste presentimento” (olio su tela, 67 x 66 cm. Milano, Pinacoteca di Brera), ove sulla parete di fondo dell’angusta stanza appare una riproduzione su stampa della versione hayeziana del 1861, anche qui con espliciti riferimenti al contesto storico garibaldino ribaditi dal busto in gesso dell’ “eroe dei due mondi” entro la nicchia dello sfondo frontale.
Nel 1922 fu l’eccentrica artista polacca Tamara de Lempicka a realizzare un “d’Après” del dipinto di Hayez come fase iniziale di un processo di rielaborazione formale che porterà alla stesura del dipinto “Il bacio” del 1922-23. (mettere foto).
Come spiega Gioia Mori: «Della fonte ispirativa rimane l’abbraccio appassionato, ma i due antichi amanti sono trasformati in una spregiudicata coppia che amoreggia nelle strade buie di una città moderna». E ciò è evidenziato dal vestiario fornito dalla Lempicka all’uomo, svestito degli abiti medievaleggianti per indossare la mise “a la page” degli anni Venti, sciarpa di seta bianca, mantello e cilindro; mentre la donna è trasfigurata nella mantide appagata che avvolge tra le sue spire il suo uomo, ormai preda di una passione travolgente che assorbe e annulla tutto il resto.
Sempre nel 1922 fu la volta di Giovanni Buitoni, fondatore della nota Casa del Cioccolato “Perugina”, a ribattezzare il celebre cioccolatino (prima detto “Cazzotto”) in “Bacio Perugina”, mentre il suo direttore artistico, Francesco Seneca, rielaborò il dipinto creando la grafica della scatola blu stellata con l’immagine dei due innamorati e i cartigli con le citazioni d’amore, nota inconfondibile del prodotto commerciale.
E ancora, il regista Luchino Visconti nel 1954 citerà il dipinto in una scena di “Senso”, ove i protagonisti, la contessa Livia Serpieri in Ussoni e il tenente austriaco Franz Mahler (interpretati rispettivamente da Alida Valli e Farley Granger) si abbandonano in un appassionato bacio presso la Villa di Aldeno (Trento).
“A San Valentino, innamorati dell’arte” fu, invece, l’iniziativa promossa dal MiBACT (Ministero italiano dei beni e delle attività culturali e del turismo) nel 2010 nei giorni 13 e 14 febbraio al fine di valorizzare il Patrimonio storico-artistico italiano nostrano e, in tal modo, invogliare le coppie alle visite museali al costo di un solo biglietto, poiché, come tuonava lo spot, “la cultura… fa bene all’amore!”. Il manifesto della campagna ministeriale, ancora una volta, si presentava come una rivisitazione moderna del celebre dipinto indagato.
Ultima, in ordine temporale, è il remake digitale “crackato”, umoristico e caustico, eseguito dal giovane urban artist contemporaneo Daniele Urgo (meglio noto sui social come “Done”) in cui il profilo del venditore di rose pakistano incappucciato fa la sua inaspettata, quanto meno inopportuna, irruzione all’interno della scena spezza l’idillio amoroso della coppia di amanti. Della serie (per citare il titolo stesso del remixaggio): “Il bacio nel posto sbagliato al momento sbagliato!”.
Per conoscerlo nel dettaglio i suoi lavori (a mio parere, originalissimi!) visitate pure il sito http://www.behance.net/done_
Tornado ad Hayez, il suo “bacio” riscosse enorme successo presso il pubblico contemporaneo sia per il messaggio allegorico – politico al quale allude, elevandosi a simbolo della giovane nazione, sia per l’efficacia della sua composizione scenografico-teatrale, ove il sentimento è espresso anche per mezzo del linguaggio pittorico altamente qualitativo nelle tonalità accese e contrastanti dell’azzurro dell’abito femminile, del bruno del mantello e del rosso brillante della calzamaglia del giovane, colore questo, non a caso, particolarmente caro agli artisti veneziani.
L’uso simbolico del colore è arricchito dalla ricerca di delicate vibrazioni cromatiche nel trattamento delle stoffe lucenti che imitano il raso, memori della lezione veneta di Giorgione e Tiziano Vecellio, su cui Hayez aveva fondato il proprio stile.
Ponendo maggiore attenzione, si comprende come la flessuosa figura della ragazza, ritagliata fra il rosso della calzamaglia e il bruno del mantello del giovane amato, è impreziosita dai riflessi cangianti e lucenti della veste aderente al busto e gonfia di pieghe al di sotto dei fianchi, accentuando ulteriormente, in tal modo, il virtuosismo luministico di eredità neoclassica.
Il fascino dell’opera, quindi, è rappresentato dall’abbigliamento medievaleggiante dei personaggi, dai loro volti nascosti, dalla raffinata luminosità dell’abito di raso che la donna indossa, dall’atmosfera nostalgica e sofferta del distacco, che rende commovente il gesto dei due amanti. L’azione compiuta si trasfigura, dunque, in una passione intensa e profonda, che li unisce in un legame indissolubile, capace di resistere anche alla morte. La fonte di luce proviene da sinistra, investendo le figure dei due giovani, le cui ombre vengono proiettate sulla destra della parete lapidea. La scena presenta un impianto prospettico geometrico definito (come già detto) dalle diagonali dei gradini che convergono nel punto di fuga, posto sulla sinistra, a metà della colonnina del vano archiacuto del primo piano.
Nonostante l’opera appartenga di diritto al contesto storico-artistico romantico, tuttavia la critica è unanime nel proporne un’interpretazione in chiave risorgimentale, quindi un messaggio politico – allegorico, avallata da alcuni elementi formali:
1. L’architettura dello sfondo, dall’incerta ambientazione spazio – temporale, acquisisce un carattere indefinito e universale, elevando la scena a simbolo dell’amor patrio e del sentimento passionale.
2. Il volto coperto del giovane ammantato, con il berretto piumato e il piede sinistro poggiante sul gradino, come se egli avessi una gran fretta di fuggire via dopo l’estremo saluto.
3. Le braccia della fanciulla si stringono con forza intorno alle spalle del suo compagno, come per trattenerlo: un atteggiamento che tradisce una segreta tristezza dovuta all’addio dell’amato che si appresta ad affrontare una sorte incerta e ardua per fedeltà al patriottismo.
4. Il pugnale dell’uomo, la cui impugnatura preme contro un fianco della fanciulla, allude all’imminente lotta contro gli invasori austriaci.
5. L’anno di realizzazione del dipinto, ovvero il 1859: anno della Seconda Guerra d’Indipendenza e dell’ingresso milanese di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III (alleato del sovrano sabaudo).
6. L’azzurro freddo e lucente delle veste della giovane donna e il rosso della calzamaglia dell’uomo alludono ai colori del tricolore francese: la Francia divenne alleata dell’Italia a seguito degli accordi di Plombières, stipulati verbalmente nell’omonima cittadina termale francese il 21 luglio 1858 fra l’Imperatore Napoleone III e il Primo ministro del Piemonte, Camillo Benso Conte di Cavour.
Nelle successive tre versioni del soggetto il valore allusivo della gamma cromatica si fece sensibilmente più esplicito con conseguente tono celebrativo dell’impresa unitaria. Nello specifico nella terza versione del 1861, anno dell’Unificazione, Hayez sostituisce l’azzurro della veste con il neutro bianco, come una decisa dichiarazione di amore patriottico per avvenuta e tanto agognata Unità d’Italia. Infine, la quarta e (pare) ultima delle versioni, del 1867, presenta l’aggiunta di un drappo bianco disteso in modo irregolare lungo la gradinata dell’interno – come scivolato improvvisamente dalle spalle della ragazza – che assieme all’azzurro delle veste femminile, al verde del risvolto del mantello dell’uomo e al rosso squillante della sua calzamaglia alluderebbero ai due tricolori, italiano e francese. Fu questa secondo gli storici la versione inviata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, ove la scelta dei due tricolori dell’Alleanza franco-italica e il celato significato allegorico-patriottico fu sottolineata dallo stesso Hayez.
Scrisse il poeta Francesco Dall’Ongaro: «una scena toccante, piena di mistero e di affetto. […] esca da questo bacio affettuoso una generazione robusta, sincera, che pigli la vita com’ella viene, e la fecondi coll’amore del bello e del vero».
P.S. Gent.ssimo maestro Dall’Ongaro,
non per contraddirla, (Dio me ne liberi!!!), ne tantomeno per essere “catastrofico” (Dio me ne liberi un’altra volta!!!), ma quella generazione feconda, amante dell’ “amore”, del “bello” e del “vero”, da lei così vivacemente auspicata (con tutta franchezza s’intenda) stiamo (o almeno “sto”) ancora qui ad attenderla…e da tempo immemorabile!!
I miei sinceri ossequi!!!
Vostro umile Filippo Musumeci
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