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Primavera

Il tempo nuovo, la stagione degli amori, il vertempo verdeggiante metafora della giovinezza o semplicemente la rinascita della natura è ormai alle porte: nuvole di fiori bianchi e rosa – mandorli e ciliegi – interrompono la sinfonia di verdi brillanti nelle distese campestri. Questo magico spettacolo non manca di deliziarci ogni anno e stimolando in ogni epoca la creatività di musicisti, poeti e pittori. Allora perché non celebrarla con una nutrita galleria di capolavori primaverili?

Affresco della Flora o della Primavera, da Stabiae, MANN, Napoli

Cominciamo con un affresco delicatissimo, quello di Flora rappresentata mentre coglie fiori e li ripone nella sua cornucopia, un’opera che oggi possiamo ammirare al Museo Archeologico di Napoli ma rinvenuta negli scavi del XVIII secolo nella villa di Arianna, presso l’antica Stabiae.

Heidelberg, Universitätsbibliothek, Codex Manesse (inizi XIV sec.)

Anche in età medievale il ciclo dei mesi e delle stagioni era molto presente quale metafora della vita umana, ovviamente il tempo più gioioso è la primavera, perfetta allegoria dell’età più felice, quando uomini e donne, nel pieno del loro vigore e della loro bellezza, vivono la stagione dell’amore. Amore celebrato nella lirica delle origini, in quella Provenzale poi in quella della Scuola siciliana e ancora nel Dolce stil novo per continuare con Dante e Petrarca.

Sotto forma di allegoria la Primavera viene rappresentata anche in dipinti murali come il ciclo del Castello di Asciano nei pressi di Siena, qui

Asciano, museo di palazzo Corboli, int., sala delle 4 stagioni con affreschi attr. a Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, XIV sec. primavera

è una fanciulla dai capelli dorati che sorregge due mazzi di fiori ed è vestita di un abito che sembra contenere un giardino paradisiaco.

L’idea di inserire l’allegoria della Primavera in un giardino lussureggiante è presente nel dipinto più “simbolico” del Rinascimento: la Primavera di Botticelli.

Sandro Botticelli, La Primavera, 1482 ca., Firenze, Uffizi

L’opera di ispirazione neoplatonica riprende il mito di Ovidio, il personaggio centrale è Venere che ospita nel suo giardino la danza delle Grazie, mentre Zefiro la figura bluastra e volatile sulla destra rincorre la ninfa Clori – secondo la mitologia la farà sua con la forza e poi riparerà sposandola e trasformandola in una dea: Flora. Nel dipinto Flora è presente ed è rappresentata mentre incede spargendo fiori che fioriscono nel giardino, in alto, tra le chiome degli aranci, c’è Eros bendato che scaglia un dardo infuocato verso una delle Grazie danzanti e infine sulla sinistra Mercurio, a simboleggiare la ragione, nell’atto di allontanare nuvole e tempeste. La circolarità delle figure rappresenta la ciclicità della Natura ed è modellato sulle elaborazioni allegoriche di Ficino e Poliziano, lo stile si caratterizza per l’uso di una linea elegante e modulata secondo le indicazioni di Alberti per ottenere delle figure femminili dilettevoli.

Il committente di quest’opera tra le più ammirate al mondo fu Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico ma non in buoni rapporti con il signore di Firenze, da lui passò a Giovanni delle Bande Nere e al figlio di questi Cosimo I duca di Firenze a partire dal 1539.

Le interpretazioni che riguardano la più famosa delle opere di Botticelli sono davvero molteplici e quella riportata è forse una delle più scontate e semplicistiche, secondo Zeri invece sarebbe la rappresentazione di un poema di Marziano Capella, il De nuptiis Philologiae et Mercurii, in cui si esalta la nuova cultura umanistica fondata su poesia, retorica e filologia, con una velata critica al regime “antidemocratico” di Lorenzo de’ Medici.

Giuseppe Arcimboldo, Primavera, 1563, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid

Allegorica è anche l’interpretazione della Primavera di uno dei più originali artisti del Manierismo: Giuseppe Arcimboldo, famoso per la sua abilità nell’ingegnarsi nella creazione di ritratti che mostrassero sia l’aspetto umano che la presenza di elementi naturali. I suoi dipinti sfidano le convenzioni artistiche tradizionali, giocando con l’illusione e l’immaginazione. Nella Primavera, che fa parte di un ciclo completo delle stagioni, compaiono molti fiori, per il viso sono colorati di rosa in varie tonalità dal carnicino chiarissimo al rosso delle labbra. La gorgiera è composta invece da delicati fiori bianchi mentre il capo è ricoperto da fiori multicolori di varie specie: gigli bianchi, piccoli tulipani, narcisi. Il busto è invece una raccolta di foglie ed erbe di vario tipo.

Arcimboldo dimostra una straordinaria maestria tecnica e un’incredibile inventiva concettuale nella creazione di queste opere. I suoi dipinti sono un esempio notevole di sperimentazione artistica e di fusione tra natura e umanità, dimostrando un approccio unico e originale alla ritrattistica. L’eredità di Giuseppe Arcimboldo è rimasta influente nel mondo dell’arte, e le sue opere continuano a suscitare meraviglia e ammirazione per la loro creatività e per l’abilità nel trasformare oggetti comuni in immagini straordinarie.

Pieter Brueghel il Giovane, Primavera, 1620 ca, Montreal, Museo di Belle Arti

Il carattere dell’opera di Brueghel è sicuramente più didascalico e realistico, illustra vivacemente scene di vita quotidiana rappresentando i lavori e le attività più tipiche della primavera: in primo piano la sistemazione di piante da fiore in un giardino, in secondo piano sulla destra due uomini sistemano un pergolato, più al centro c’è la tosatura delle pecore mentre sulla sinistra, dopo il corso d’acqua ci sono coppie di contadini che ballano e festeggiano e due giovani che si baciano. Sullo sfondo un castello. A identificare la stagione primaverile gli alberi dai fiori bianchi e i fiori che uomini e donne stanno disponendo nelle aiuole. Le opere di Pieter Brueghel il Giovane, pittore fiammingo del XVI secolo, riflettono lo stile e i soggetti del più famoso padre, Pieter Brueghel il Vecchio, ma con una minore profondità e originalità. Tuttavia, le sue rappresentazioni di scene di vita rurale e paesaggi hanno un valore storico e documentativo importante, mostrando la vita e le tradizioni dell’epoca.

François Boucher, Le quattro stagioni: la Primavera, 1755, Frick Collection, New York

Il tocco di François Boucher ha tutta la dolcezza della primavera, sia nei colori delicati che nelle figure trattate con una linea morbida e sensuale con una rappresentazione tipicamente rococò in cui due giovani sono immersi in un paesaggio primaverile idillico.

Thomas Gainsborough, Paesaggio romantico con pecore in primavera, 1783, Royal Academy of Arts, Londra

Nell’opera di Thomas Gainsborough il paesaggio è protagonista, lo studio della luce così moderno riprende lo stile di Jacob van Ruisdael ma assorbe le innovazioni della visione romantica creando un’immagine suggestiva e coinvolgente che diventerà il punto di partenza per Turner o Constable nel secolo successivo, quando la natura e il paesaggio diventano soggetti autonomi della pittura.

Con la natura e la sua osservazione diretta, la primavera viene rappresentata, con tutti i suoi colori, da tantissimi artisti dell’Ottocento, dai romantici ai naturalisti fino ai simbolisti; può essere un vaso di fiori primaverili o un campo fiorito, o ancora un’accademica allegoria o un’immagine stilizzata ed elegante. In queste opere si celebra il momento della rinascita, l’energia e il calore che si diffondono, la vita alla sua sorgente ma vista l’ampiezza della produzione saranno oggetto di un altro post.

Dalla pittura alla porcellana

Miriam Raffaella Gaudio, esperta dell'arte Rococò, ci offre un altro interessante contributo sulla pittura di Lancret, chiarendo la sua importanza nella creazione d modelli per le arti minori e in particolare nell'ambito della decorazione delle porcellane.

Le opere di Lancret non furono diffuse soltanto in Francia, ma anche in Europa attraverso incisioni e copie realizzate, per la maggior parte, da Nicolas Larmessin (1684-1755), al punto che possiamo conoscere molte delle sue opere ormai disperse, solo attraverso riproduzioni. Non è un caso che dopo la morte di Lancret, in pittura il genere più apprezzato fosse quello inventato da Watteau, le fêtes galantes, adottato con gran successo da tutti i pittori del rococò. Ad esempio, in Inghilterra, nella seconda metà del XVIII secolo e anche oltre, fino all’Ottocento, si diffuse la moda di pitture a smalto su oggetti d’arte, ninnoli, servizi di porcellana e rame raffiguranti stupende riproduzioni, tratte dalle fêtes galantes.Ciò dimostra che lo stile rococò fu presente anche in Gran Bretagna, nonostante che, generalmente, quest’ultima non sia molto considerata tra i paesi più aperti a questo movimento artistico.

In effetti, il rococò vi si diffuse anche se per breve tempo; basterebbe pensare a Hogarth, a Hayman e a Gainsborough, che, con le loro vaporose pennellate e i colori pastello, riuscirono a tradurre lo spirito del rococò, pur in chiave realistica, sebbene questi pittori non fossero del tutto fedeli al rococò francese, che aveva dato molta importanza all’idealizzazione e all’immaginaria grazia arcadica, dimostrarono di voler tradurre quella raffinata eleganza formale dei francesi, soprattutto nelle splendide porcellane di Bow, Worcester, Battersea, ecc. In particolar modo, soggetti di Watteau, Boucher e Lancret (solo nel Novecento sono stati attribuiti anche a quest’ultimo) furono modelli per le riproduzioni di Battersea, Staffordshire, ora conservate in collezioni pubbliche e private.
R. W. Binns, nel suo libro A century of potting in the city of Worcester del 1877, aveva attribuito l’immagine su un piatto di rame, Gardener and companion, a Boucher. In realtà, questo piatto fa parte della produzione Royal Porcelain di Worcester. Lo stesso soggetto appare su una bottiglia del 1790, la cui riproduzione fu eseguita da Robert Hancock. Egli la copiò sicuramente da Larmessin, che a sua volta l’aveva copiata da Lancret. Questa attribuzione fu confermata solo nel Novecento grazie agli studi di William King, che rintracciò l’archetipo di tali riproduzioni nell’opera di Lancret: Les amours du bocage.

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LANCRET, Les amours du bocage

L’errata attribuzione a Boucher, si giustifica con la tendenza ad attribuire opere di importanza europea agli artisti più famosi e a considerare quelli minori come imitatori. Non a caso Nicolas Lancret è stato diverse volte confuso con Boucher, Watteau e Pater.
Les amours du bocage è una tela di piccole dimensioni, apparsa al Salon del 1739, destinata alla collezione di Federico II di Prussia e ora a Postdam. Il soggetto rappresenta un pastore “galante”, che mostra un uccellino chiuso in gabbia e due giovani pastorelle, sedute vicino a lui. Il pastore e le pastorelle sono ritratti con grazia, secondo il gusto delle bucoliche latine e delle pastorali rinascimentali. Si celebra non la nobiltà di rango, ma quella d’animo. Il pastore è colui che vive felice e in semplicità a contatto con la natura, poiché “conosce la pace del cuore e dello spirito”. Nel dipinto di Lancret si può notare un’intensa armonia tra i personaggi e tra questi e l’ambiente. A destra, il pastore seduto su una pietra più alta, cinge una pastorella, che con molta delicatezza avvicina la sua mano all’uccellino, per giocare. Il suo braccio teso è simmetrico a quello del pastore che stringe a sé la gabbia. A sinistra si trova l’altra pastorella, che per la posizione e la direzione dello sguardo fa da contrappunto alla prima. Gli sguardi dei tre personaggi si concentrano sulla gabbia, che diventa l’oggetto di maggior interesse nell’opera. La vegetazione è rigogliosa; gli alberi tracciano la linea sinuosa a “C”, tipica del rococò, e sembrano incorniciare l’idillio, aprendo lo scenario retrostante alla luce. L’atmosfera è serena e gli animali (un cane e delle pecore, simboli della vita pastorale) sono docili.
Sul piatto di rame, citato precedentemente, si è rappresentata solo una parte della tela intera, in altre parole solo la sezione relativa al pastore con la gabbia che tiene stretta a sé la pastorella. Bisogna rilevare un particolare: nell’opera di Lancret i personaggi si trovano a destra, mentre nella riproduzione risultano a sinistra perché ripresi da una riproduzione a stampa Così, infatti, sono stati rappresentati sul coperchio smaltato di una tabacchiera del 1750, della collezione Mander. La stessa variazione si nota nelle due statuette della Bow porcelain, ora al Victoria and Albert Museum, del 1750. Sulla bottiglia della collezione Hughes, prima citata, si è conservata la posizione originaria, ma si è sostituita la gabbia con un cesto di fiori.
Lo stesso soggetto fu più volte rappresentato da Lancret, seppure in maniera diversa. A questo proposito si possono citare alcune sue opere famose, come: Printemps in due versioni; Le nid d’oiseaux, La leçon à l’oiseau, Les tourterelles, La chasse à la pipée, L’oiseau prisonnier (quasi identico a La leçon à l’oiseau), La cage, L’oiseau mis en cage. Eccezionalmente, si ritrova l’oggetto della gabbia in un ritratto di famiglia, La famille Saint Martin.
Il fatto che questo tema ricorra molto spesso nella pittura di Lancret si può spiegare tenendo conto della moda “intellettuale” del Settecento. In questo contesto gli uccelli ingabbiati erano una metafora dell’amante che si abbandona al suo imprigionamento volontario per amore.
Un sicuro riferimento letterario fu Le prisonnier volontarie di Philip Ayres, tratto dall’Emblemata amatoria dello stesso autore. Questo testo era ben noto durante il periodo del rococò.
Molti poeti del XVIII secolo celebrarono il tema in questione nei “Salons” letterari. L’abbé de Lattaignant (1697-1779) scrisse canzoni liriche, come Le serin e Charmans oiseaux de ce riant bocage. Il libro Le jardin d’amour à Cythère elabora la metafora di un cacciatore nell’atto di catturare gli uccelli, che fa capire ad un “galant” come conquistare una donna.
Ritornando alle porcellane inglesi, una copia eseguita da Ionides, ispirata ad un’altra di Hancock, su un coperchio a smalto di una scatoletta in porcellana di Battersea, della collezione privata degli Hon, riproduce The round game. Grazie ad Aubrey J. Toppin, si è individuata come copia dello Jeu des quatre coins di Lancret, opera realizzata insieme a Jeu de cache-cache mitoulas del 1734.

LANCRET, Jeu de cache-cache mitoulas , 1734

E’ molto facile trovare opere di Lancret ispirate ai giochi tra bambini in splendide radure boscose. Con questa immagine si voleva mettere in evidenza lo spirito giocoso del rococò.
Un altro tema copiato da Lancret è il Maître galant, o la cosiddetta Leçon de flûte, la cui riproduzione in Inghilterra fu diffusa da Hancock. Quest’immagine fu utilizzata come decorazione per diversi oggetti: due piattini, uno nell’Hughes collection, l’altro nella Merton Toms collection, prodotti presso Worcester; una tazza da tè senza manico, nella Schreiber collection; il coperchio di una scatoletta smaltata di Battersea, nella collezione Ionides e infine un vassoio nella collezione Lowdin di Bristol.
La tela di Lancret, di cui c’era già una precedente versione del 1736, faceva parte di cinque quadri, commissionati nel 1743 per i “petits appartements” di Versailles.

LANCRET, Maître galant, 1743

Nel dipinto di Lancret i personaggi si trovano a destra: un insegnante di flauto dà lezioni di flauto alla sua allieva, seduta accanto a lui in uno splendido giardino. Alle loro spalle un pastore si appoggia su una statua di gusto classico, osservando la scena.
Hancock modificò il modello di Lancret: non rappresentò lo stesso giardino rigoglioso, omise il pastore e la statua, sostituendoli con delle rovine romane. A sinistra dipinse i personaggi e all’estremità rappresentò una scena fluviale con una barca.
Nel museo Victoria and Albert Museum, a Londra, nella sezione Porcellane e ceramiche, si trova una collezione ispirata ai soggetti di Nicolas Lancret.
Nella sala 136, c’è un piatto a grisaille et smalto nero, la cui immagine è un’ imitazione della La Terre di Nicolas Lancret.
L’immagine è stata elaborata sulla stampa di Nathanael Parre e pubblicata nel 1752 da John Bowles.
La terre si trova presso la collezione Thyssen-Bornemisza a Madrid ed è un quadro tra i più complessi e ben riusciti di Lancret.

LANCRET, La Terre
LANCRET, La Terre

Tra le figure presenti sulla tela ci sono dei giardinieri che ricordano perfettamente i pannelli realizzati da Lancret durante il suo apprendistato. I giardinieri sono al lavoro. C’è chi annaffia fiori, chi raccoglie frutti dall’albero e chi lavora la terra. Dall’altra parte dell’opera si presenta il mondo bucolico e aristocratico: gruppi di giovani sono intenti a creare ghirlande di fiori e a conversare. Essi rappresentano due gruppi sociali ben distinti: il popolo e la nobiltà. L’unico personaggio che unisce i due gruppi è una ragazza dall’abito giallo ocra che cerca di raccogliere nel proprio grembo i frutti che il giardiniere farà cadere dal pero. Il suo sguardo s’incrocia con quello del giardiniere, nel cui gesto si legge l’offerta dei piaceri terreni ed effimeri così come un’accezione sensuale. Questo dettaglio dell’opera si potrebbe mettere a paragone con la Raccolta delle ciliegie di Boucher del 1768, conservata presso la Kenwood House di Londra.

BOUCHER, Raccolta delle ciliegie, 1768

A fare da sfondo una grande fontana dal gusto rocaille e una straordinaria natura benevola dai colori delicati sembra accompagnarci alla scoperta di un’originaria felicità (mito che Rousseau esalterà nei suoi scritti).
Nell’opera sono visibili due strutture piramidali: uno è tracciato dai tre giardinieri e l’altro dai gruppi di giovani. Una coppia sulla destra rappresenta l’amore idilliaco: il giovane crea un bouquet di fiori da donare alla dama alla sua destra. In basso le tre nobildonne separano i frutti appena raccolti e una di loro potrebbe anche gustarne uno. Sono presenti cocomeri, una zucca, dell’uva, delle pere e delle pesche: ecco le meraviglie prodotte dalla terra, ma anche seduzione e dolcezza dei piaceri terreni, dal cocomero simbolo d’amicizia all’uva che simboleggia la dolce ebbrezza dei sensi.
Notevolissima è la padronanza cromatica: dal cielo color rosa che ci fa intuire di essere al tramonto, alla luce che si riflette sulla fanciulla in piedi al centro della composizione e sulle complesse decorazioni della fontana, che denota una scenografia dal gusto tipicamente rocaille, come testimoniano le sue enormi conchiglie. Le delicate e minuziose pennellate creano colori e sfumature pastello che si accostano le une con le altre in modo graduale quasi con l’intento di creare una variegata gamma cromatica dalle tonalità perlacee. Partendo da sinistra dai colori freddi e pastello dei gruppi di giovani seduti dinanzi la fontana, si può osservare il forte color giallo ocra della fanciulla al centro (è mediatrice non solo dal punto di vista compositivo ma anche cromatico). Il suo abito sembra preannunciare il colore caldo per eccellenza: il rosso vermiglio della giubba del giardiniere sulla destra. I fiori bianchi, che fanno soprattutto da cornice al quadro, simboleggiano la purezza dell’amore.
La terre può essere interpretata in diversi modi:
1) il bisogno dell’uomo di ricongiungersi con la natura per ritrovare la felicità totale, fruibile prima del peccato originale.
2) sono riscontrabili i quattro elementi naturali che hanno portato alla creazione dell’universo ossia acqua, aria, terra, fuoco. Alla fontana una statua raffigurante una ninfa versa dell’acqua da un vaso classificabile come un dinos nell’antica Grecia. Il dinos era un vaso utilizzato per mescolare l’acqua al vino, privo d’anse con un’ampia imboccatura priva di collo e d’orlo. Come il cratere serviva a mescolare acqua e vino nel banchetto, il che è da considerarsi come un evidente richiamo all’ebbrezza dei sensi. L’aria è simboleggiata dalla scena all’aperto. La terra offre i suoi prodotti, frutti e fiori, grazie al lavoro dei giardinieri. Il fuoco è rappresentato dalla luce del tramonto
3) I quattro elementi universali possono essere letti a loro volta come rappresentazione dei sensi:
a) l’acqua simboleggia la vista
b) l’aria l’udito
c) il fuoco l’olfatto
d) la terra il tatto

Miriam Raffaella Gaudio

C. Cook, “ Some further Lancret subjects on old English porcelain” in Apollo , febbraio /1946, p.31
Enciclopedia universale dell’arte, Venezia-Roma, vol. 15, (voce “Rococò”), 1958-1967, p. 629
E. Goodmann-Soellner “L’oiseau pris au piège: Nicolas Lancret’s Le printemps (1738) and Le prisonnier volontaire of Philip Ayres (c.1683-1714) » in Gazette des beaux-arts, (1986), p. 130
W. King, “A Lancret subject in English porcelain” in Apollo 21 : 121 (1935: gennaio), p.31
G. Wildenstein, Lancret, biographie et catalogues critiques, Parigi, p. 100

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