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IMPRESSIONISMO. LETTURA OPERA: BAL AU MOULIN DE LA GALETTE DI RENOIR

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Autore: August Renoir (1841-1919)

Data di produzione: 1876

Dimensioni: 131 x 175 cm

Dove si trova: Musée d’Orsay, Parigi

Prima di concentrarci sul dipinto, vorrei approfondire in linea generale il significato di Impressionismo, il movimento pittorico che ha dato vita a queste opere ricche di colori e movimento.

L’impressionismo nasce intorno al 1860 a Parigi; deriva direttamente dal realismo, in quanto si interessa soprattutto alla rappresentazione della realtà quotidiana, ma nei suoi aspetti più dolci e sereni.

La tecnica impressionista nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà sensibile, occupandosi dei fenomeni ottici della visione.

Si può dire che, pur durando solo una ventina d’anni, questo movimento pittorico lascerà grandi eredità all’arte contemporanea.

I protagonisti dell’impressionismo furono soprattutto pittori francesi: Claude Monet, per eccellenza, Auguste Renoir, Camille Pissarro e, con qualche originalità, Edgar Degas. Per ultimi ma non per importanza Edouard Manet, precursore del movimento, e Paul Cézanne, la cui opera è quella che per prima supera l’impressionismo degli inizi. Monet fa vaporizzare le forme, dissolvendole nella luce; Cezanne ricostruisce le forme, ma utilizzando solo la luce e il colore.

Le date fondamentali dell’impressionismo sono tre:

1863:Edouard Manet espone «La colazione sull’erba»;

1874: anno della prima mostra dei pittori impressionisti presso lo studio del fotografo Nadar;

1886: anno dell’ottava e ultima mostra impressionista.

Il rinnovamento della tecnica pittorica, iniziata da Manet, parte proprio dalla scelta di rappresentare solo la realtà sensibile.

L’occhio umano ha recettori sensibili soprattutto a tre colori: il rosso, il verde e il blu. La diversa stimolazione di questi tre recettori producono nell’occhio la visione dei diversi colori. Una stimolazione simultanea di tutti e tre i recettori, mediante tre luci pure (rossa, verde e blu), dà la luce bianca. Questo meccanismo è quello che viene definito sintesi additiva.

I colori sono dei filtri che non consentono la riflessione degli altri colori. Sovrapponendo più colori, si ottiene la progressiva filtratura, e quindi soppressione, di varie colorazioni, fino a giungere al nero. In questo caso si ottiene quella che viene definita sintesi sottrattiva.

I colori posti su una tela agiscono sempre operando una sintesi sottrattiva: più i colori si mischiano e si sovrappongono, meno luce riflette il quadro.

Gli impressionisti cercano di evitare la perdita di luce riflessa, così da dare la stessa intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà.

Per far ciò adottano le seguenti tecniche:

  1. utilizzano colori puri;
  2. non diluiscono i colori per realizzare il chiaro-scuro;
  3. accostano colori complementari;
  4. non usano mai il nero;
  5. anche le ombre sono colorate.

La pittura degli impressionisti era basata solo sul colore, eliminando la pratica del disegno. La realizzazioni dei quadri non avveniva negli atelier ma direttamente sul posto. È ciò che, con termine usuale, viene definito en plein air, questo perchè secondo i pittori impressionisti la realtà muta continuamente di aspetto. Per questo gli artisti “fotografano l’attimo” catturando le luci, i colori e i movimenti continuamente mutevoli.

Subito dopo la Rivoluzione industriale le città cambiarono radicalmente aspetto, trasformandosi così in accampamenti inquinati e non igienici per immigrati arrivati dalle campagne in cerca di fortuna. Nessuno quindi avrebbe mai avuto l’intenzione di rappresentare questa malsana realtà urbana. Gli impressionisti, invece, cercarono di esaltare la bellezza delle città, anche se nascosta.

Presero come riferimento Parigi. Come sappiamo la capitale francese è per eccellenza la patria del benessere e del divertimento fatti abitudine dai francesi e trasformati in un vero biglietto da visita. Questa vita così colorata ed armoniosa viene rappresentata dai maggiori esponenti impressionisti, regalando piacevoli emozioni agli spettatori.

Il Mulin de la Galette era un locale molto ampio situato nel quartiere di Montmatre, vicino ad un mulino. Era frequentato da molti, rappresentava un luogo di ritrovo dove divertirsi, ballare o semplicemente chiacchierare i compagnia.

Analisi del dipinto

Il dipinto raffigura un ballo domenicale a Montmartre, fu realizzato in gran parte en plein air e dimostra la piena maturità pittorica di Renoir nell’uso complesso della luce, risolto con un gioco di macchie chiare e scure.

Il pensiero di Renoir si può capire leggendo le sue parole:

“Se immersi nel sienzio, si sente squillare il campanello, si ha l’impressione che il rumore sia più stridente di quanto lo sia in realtà. Io cerco di far vibrare il colore in modo intenso come se il rumore del campanello risuonasse in mezzo al silenzio”

La formazione artistica dell’autore è di carattere autodidatta, egli studiò Rubens e il Settecento francese, i capisaldi su cui si basò il suo pensiero. Agli inizi della sua carriera ebbe l’opportunità di conoscere Monet, Bazille e Sisley alla scuola di belle arti. Si lega a questi ultimi e quando Bazille presenta agli altri Cezanne e Pissarro si forma così il gruppo impressionista. Renoir con forma e colore riesce a suggerirci l’idea di movimento e lo stato d’animo collettivo.

L’artista unifica l’insieme con toni di blu scuri, blu purpurei e violetti mescolati a colori più luminosi; le pose dei singoli personaggi sono costruite attraverso angoli arrotondati e curve, mentre i gruppi sono disposti in ampi cerchi che articolano lo spazio. I margini sono morbidi, colpi di pennello creano superfici vellutate, una luce solare macchiata di più colori dissolve e unifica il tutto. La sua pennellata è sinuosa e filamentosa e mantiene un’alta vibrazione. Con tale metodo inizia a rappresentare gli effetti della luce del sole, che, penetrando attraverso il fogliame, creano macchie dorate sui volti e sugli abiti dei modelli. Ai lati, le figure in primo piano sono tagliate di netto e suggeriscono il prolungarsi di quanto rappresentato.
Il punto di vista del pittore è focalizzato sulle due donne al centro, man mano che si guarda in lontananza le persone diventano sempre più sfocate secondo le leggi dell’ottica e dell’ “impressione” ritmica. Nel gruppo seduto attorno al tavolo, sono ritratti la modella Jeanne e sua sorella Estelle, lo scrittore Rivière, Franc Lamy e Goenuette (a destra); fra i ballerini sono riconoscibili, Lhote, Lestringuez, Gervex, Cordey ed altri. Al centro della sala con l’abito rosa, danza Marguerite Legrand, soprannominata Margot, una delle sue modelle preferite. Il cavaliere è Don Pedro Vedel de Solares y Cardenes.

Renoir in quest’opera non solo riesce a rappresentare benissimo la scena in movimeto, egli riesce perfettamente nel suo intento: colore e luce sono i veri protagonisti dell’opera e magicamente tutto si muove: ci si può perdere immaginando la musica che abbracciava questi corpi, si possono sentire le risate e addirittura i passi di danza.

“Ogni colore che noi vediamo nasce dall’influenza del suo vicino” (Monet)

 

“La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura cieca” (L.Da Vinci)

 

(Noemi Bolognesi)

LETTURA OPERA: “LA PASSERELLA GIAPPONESE” DI MONET

Datazione dell’opera: 1899
Dimensioni: 81,3 x 101,6 cm
Dove si trova: National Gallery of Art, Washington

È arrivata l’estate e insieme a lei tutti i suoi colori. Comincia a fare caldo ed è già ora di ricercare l’ombra per avere un soffio di vento tra i capelli che ci rinfreschi il volto. Molto più importante è però avere la mente e lo spirito freschi, e un buon modo per farlo è perdersi nella freschezza dell’Arte.

Oggi vorrei dare il benvenuto a quest’estate con un Maestro delle Luci, il grande Monet.

Lui che nei primi anni 90 dell’800 si trasferi nella pittoresca e rurale località di Giverny, dove pochi anni dopo realizzò ben 12 panorami.

Alcuni dettagli mostrano Monet legato all’Impressionismo: ad esempio il colore del ponte, un incontro meraviglioso tra il blu e il verde e soprattutto la presenza di quelle piante acquatiche, spunto iniziale delle innumerevoli ninfee che caratterizzeranno la sua carriera ai posteri.

“Ogni colore che noi vediamo nasce dall’influenza del suo vicino” (C.Monet)

L’utilizzo saggio dei colori e il loro bellissimo effetto di luce fanno di questa serie di ponti dei veri capolavori. L’artista si concentrò in ogni minima caratteristica presente all’interno di questa composizione, facendo in modo che al momento della trasposizione su tela ogni elemento naturale ed artificiale fosse al posto giusto, garantendo il miglior risultato possibile. A parer mio si può percepire il calore dei raggi del sole che illuminano gli alberi e le loro foglie, è percepibile il vento che le muove delicatamente e si può immaginare la quiete di questo luogo come se fosse davanti a noi.

Considero questo dipinto una “finestra sul paradiso”, un paradiso non complesso da immaginare, ma composto da semplici dettagli: un ponte immerso nel verde, i colori armoniosi e le luci che si diffondono nello spazio. L’artista si sposa con la natura e ne dipinge tutti i suoi particolari, a cominciare dai numerosi cambiamenti che quest’ultima subisce.

“Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. A forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare, e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente” (C.Monet)

Volendo rintracciare qualche precedente tradizione a cui Monet si possa essere riallacciato realizzando questo quadro, possiamo senza dubbio segnalare i cosiddetti “ritratti” di matrice medievale chiamati hortus conclusus, i cui soggetti erano delle zone piccole e rinchiuse naturali, come ad esempio dei piccoli orti o anche zone boschive, con pochi dettagli ma realizzati con molta cura; d’altro canto, Monet non dimentica anche la tradizione giapponese che lo ha influenzato in molte delle sue opere.

Monet ci regala questa meravigliosa sensazione di libertà, una libertà fatta soprattutto di quiete: il quadro parla da solo e molto semplicemente ci concede di perderci in questa finestra travolgente.

A volte la natura fa parlare il nostro cuore, molte volte basta solo stare in silenzio. (N.Bolognesi)

(Noemi Bolognesi)

“FREEDOM” DI ZENOS FRUDAKIS

“FREEDOM” DI ZENOS FRUDAKIS

di Noemi Bolognesi

Per ricordare il 25 aprile ormai passato, vorrei presentarvi questo capolavoro, conosciuto da pochi ma di un coinvolgimento non da sottovalutare. “Freedom” è una bellissima scultura in bronzo realizzata dall’artista Zenos Frudakis, americano di origine greca, situata a Philadelphia davanti agli uffici GSK. Come spiega lo stesso scultore, “volevo creare una scultura che chiunque, indipendentemente dal proprio contesto, potesse guardare e percepire immediatamente l’idea di qualcuno che lotta per liberarsi. Questa scultura rappresenta la lotta per la conquista della libertà attraverso il processo creativo. Anche se ho provato questa sensazione a causa di una particolare situazione personale, ero consapevole che si trattava di un desiderio universale. Tutti hanno bisogno di uscire da qualche situazione – che si tratti di una lotta interiore o di una circostanza contraddittoria – e di essere liberi”.

Francesco Pisano ne “Gli Stati della Libertà” descrive in modo interessante il valore di Libertà soffermandosi in modo preciso su ogni pensiero:
“La libertà, a mio modesto avviso, è la possibilità per ogni uomo di essere se stesso e di manifestare la propria natura nei vari ambiti, ma sempre nel rispetto della libertà altrui.
La libertà è rappresentata da quattro stati: Liberi da…,Liberi di…,Liberi per… e infine Liberi insieme a… . Il primo liberi da, vede la libertà intesa nel suo significato polemico, a forte componente psicologica, come libertà da qualche cosa. Bisogna dire che ci sono delle schiavitù -esterne ed interne – che non permettono all’uomo di essere completamente libero, delle carceri interiori: blocchi psichici, nevrosi e fobie. Il secondo stadio è Essere liberi di… per molti è principalmente poter fare una “scelta”. Libertà di decidere quello che realmente è meglio per noi stessi. Oppure la libertà di... è accettare quello che ci viene proposto, responsabilmente, anche se non è quello che avremmo programmato noi.
Il terzo stadio è Liberi per… In quest’accezione la libertà viene vista come aspetto positivo, vediamone alcuni. Libertà intesa come “liberi per… fare” cioè il valore della libertà qui è orientato a fare il bene sia a stessi che agli altri. Libertà intesa anche come “liberi per… liberare”, impegnare la nostra libertà per liberare tutte quelle persone che ancora libere non sono! L’ultimo stadio da superare è la libertà vista come essere liberi insieme a… Importante comprendere che non si può essere liberi da soli: si è liberi insieme agli altri, in uno sforzo collettivo, fatto insieme”.

Lo scultore, infatti, rappresenta gli stadi della libertà di noi stessi fino ad arrivare alla conquista vera e propria di quest’ultima. Si possono notare quattro differenti figure, ognuna di esse rappresenta uno stadio della nostra vita. La prima figura quasi inesistente, parte integrante della base, è simbolo di una libertà prigioniera della società e delle circostanze intorno ad essa: l’illusione nel sentirsi liberi quando invece non lo siamo affatto. La seconda figura vede l’inizio di un percorso di “liberazione” dove l’individuo cerca di ottenere la propria identità all’interno della società, staccandosi pian piano dalle restrizioni. La terza figura, con il braccio in avanti e la mano aperta quasi come se volesse toccare il mondo, rappresenta la Forza dell’individuo nel conquistare la Libertà fino alla sua vittoria: quest’ultima presente nella quarta figura, gioiosa ed entusiasta.

In questo anniversario importante che rappresenta la Liberazione della nostra Terra, non dimentichiamoci mai (anche se molti cercano di farcelo dimenticare) di quanto sia stato difficile ottenere la Libertà nazionale e soprattutto, di conseguenza, quella individuale. A volte è complicato sentirsi liberi davvero, e questa libertà sembra qualcosa di astratto che esiste solo su carta come diritto inviolabile, mentre poi infondo ci si sente soli, persi e intrappolati proprio da questo “sentirsi liberi”.  Ricordiamoci sempre di quanto la Libertà sia importante e non da sottovalutare, del fatto che anche se nascosta in alcune circostanze è sempre presente e ci concede una vita migliore.

Queste quattro figure devono essere per tutti noi una spinta interiore, soprattutto in questo periodo difficile che vede come protagoniste molte famiglie con situazioni disagiate, libere ma schiave della loro povertà. L’Italia deve concedere loro una libertà serena, ma per farlo oguno di noi deve regalare all’Italia la forza e la Libertà che merita. I nostri nonni hanno lottato per avere un Paese dignitoso e libero, non permettiamo a nessuno di cambiare le cose.

So che è quasi impossibile ma ricercate il profumo della Libertà, è nascosto ma vi assicuro che c’è.

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LETTURA OPERA: “AMORE E PSICHE” di ANTONIO CANOVA


Autore: Antonio Canova

Luogo di collocazione: Parigi, Museo del Louvre

1788-1793

di Noemi Bolognesi

Il fenomeno culturale e artistico che caratterizzò la seconda metà del Settecento e i primi vent’anni del secolo successivo, definito Neoclassicismo, fece della civiltà greca e poi di quella romana un modello di vita vero e proprio, posto al centro della produzione delle arti in forte contrapposizione alla teatralità del Barocco e alla frivolezza del Rococò. Canova ha da sempre cercato di dare non solo un perfetto saggio tecnico di scultura, ma di ricreare in ogni sua opera anche lo spirito della favola antica come suggestione ed espressione di sentimenti.

Questa domenica vi voglio parlare di un gruppo scultoreo molto affascinante, realizzato da Antonio Canova tra il 1788 e il 1793, esposta al Museo del Louvre di Parigi: Amore e Psiche. Di questo gruppo scultoreo ne esistono tre versioni: delle tre versioni, la prima, cronologicamente parlando, è la più famosa e acclamata dalla critica, la seconda versione (18001803) conservata all’Ermitage di San Pietroburgo in cui i due personaggi sono raffigurati in piedi e una terza (17961800), sempre esposta al Louvre, in cui la coppia è stante.

L’opera rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio Amore mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata, Psiche. Rispetta i canoni dell’estetica winckelmanniana, infatti, i due amanti vengono rappresentati in quell’istante vissuto almeno una volta da tutti noi, quel momento che sembra eterno, anche se breve: l’atto precedente al bacio. Le due figure si intersecano con un intenso abbraccio formando una X morbida e sinuosa che dà luogo ad un’opera che vibra nello spazio. La scultura è realizzata in marmo bianco che evidenzia il senso della carne, una caratteristica fondamentale presente nelle realizzazioni di Canova, insieme alla monocromia che sottolinea la carica espressiva. 

L’opera Amore e Psiche del 1788 è un capolavoro alla ricerca d’equilibrio. In questo squisito arabesco, infatti, le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti fra loro. Questa disposizione piramidale dei due corpi è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece incorniciano il punto focale, aprendosi a mo’ di cerchio attorno ai volti. L’elegante fluire delle forme sottolinea la freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l’idea di Canova del “bello” ovvero sintesi di bello naturale e di “bello ideale”.

RICORDANDO LA MITOLOGIA La favola di Amore e Psiche, dal libro “Le Metamorfosi” di Lucio Apuleio del II sec. d.C., narra la storia della giovane Psiche, la cui indescrivibile bellezza scatena la terribile gelosia di Venere e l’amore appassionato di Cupido.

La storia inizia con un re e una regina che avevano tre figlie, una delle quali si chiamava Psiche. La creatura era bellissima, tanto che alcuni pensavano che fosse l’incarnazione di Venere. Quest’ultima, invidiosa e gelosa di Psiche, chiese aiuto al figlio prediletto, Amore, o meglio conosciuto come Cupido. La vendetta consisteva nel fare innamorare Psiche dell’uomo più brutto e sfortunato della terra, in modo da ricoprirla di vergogna. Amore però appena vide Psiche rimase incantato dalla sua bellezza e fece cadere la freccia preparata per lei nel suo stesso piede, così lui si innamorò perdutamente. Ogni notte Amore andava da Psiche senza mai farsi vedere in volto per evitare le ire della madre Venere. Egli aveva detto alla sua amata che era il suo sposo e che non doveva chiedergli chi fosse e nemmeno poteva vederlo. Un giorno Psiche incoraggiata dalle sorelle, raggiunse Amore mentre dormiva e avvicinò la lampada al suo volto. Rimase così incantata che volle baciarlo ma lui si svegliò e scappò. Venere, come dubitava il figlio, si scatenò e sottopose la fanciulla alla prova più difficile di tutte: scendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. Psiche scese negli inferi e ricevette un’ampolla dalla dea Proserpina, ma questa ampolla non doveva essere aperta. Però incuriosita dal contenuto l’aprì e scoprì che dentro non c’era la bellezza ma il sonno più profondo e così cadde in esso. Giove mosso a compassione fece in modo che i due amanti potessero amarsi. Psiche e Amore si sposarono e dalla loro unione nacque un figlio di nome Piacere.

“Così quando la terra riceverà il nostro abbraccio, andremo confusi in una sola morte, e vivere per sempre l’eternità di un bacio”. (P.Neruda)

Buona Domenica a tutti!

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LETTURA OPERA: LA “NIKE DI SAMOTRACIA”

LA “NIKE DI SAMOTRACIA”

di Noemi Bolognesi

Scultore: Pitocrito

Scultura ellenistica realizzata nel II sec. a.C. (190 ca)

Supporto: Marmo Pario

Luogo di collocazione: Parigi, Museo del Louvre

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Prima di cominciare con l’opera, vorrei ringraziare il mio professore che mi ha dato l’opportunità di partecipare a questo Blog. A tutti voi una buona lettura.

L’ELLENISMO

La Nike di Samotracia è a parere mio una delle più belle opere ellenistiche. Ma cosa intendiamo per periodo ellenistico?

È importante definire bene l’ellenismo per capire al meglio l’opera che abbiamo davanti ai nostri occhi. La storiografia moderna indica come ellenismo un periodo ben definito: tra la morte di Alessandro Magno (323 a.c) e la battaglia di Azio (31 a.c). Il fenomeno ellenistico è il risultato di una crisi culturale del mondo greco, che ha le sue radici già all’inizio del IV secolo e che sovverte i principi ideologici su cui si fondava la cultura dell’età classica. La riflessione umana si sposta verso la mortalità e abbandona concetti quali l’eternità. Il potere assoluto di un uomo e il culto per il sovrano, sostituiti ai principi democratici e alla devozione degli dei, cancellarono i fondamenti etici e morali del pensiero greco. Durante il periodo delle conquiste di Alessandro, l’arte è ancora influenzata dall’età classica, tuttavia contiene già una trasformazione ellenistica. La produzione ellenistica si può dividere in tre grandi fasi: la prima (323-301 a.c) corrisponde alla lotta tra i diadochi conclusa con la formazione dei regni ellenistici, in questo periodo c’è ancora la persistenza dell’arte classica; la seconda fase (301-168 a.c) conserva le caratteristiche più innovative riguardo all’arte ellenistica; l’ultimo periodo (168-31 a.c) viene chiamato anche “periodo di restaurazione” dominato dall’affermarsi della potenza romana.

MITOLOGIA E ANALISI DELL’OPERA Nike nella mitologia greca è figlia del titano Pallante e della ninfa Stige. I due hanno altri figli: Cratos (Potenza), Bia (Forza) e Zelos (Ardore). Secondo la mitologia classica, Stige portò i suoi quattro figli da Zeus quando quest’ultimo stava raggruppando gli alleati per la Guerra contro i Titani: Zeus nominò Nike condottiera del suo carro divino e venne associata alla Dea Atena. Atena (in greco antico Ἀθηνᾶ, traslitterato in Athēnâ), figlia di Zeus e della sua prima moglie Metide, era la dea della sapienza, della saggezza, della tessitura e in generale dell’artigianato e degli aspetti più nobili della guerra (come ad esempio una guerra difensiva o fatta per giusta causa), mentre gli aspetti più crudeli e violenti della guerra rientravano nel dominio di Ares. La Nike di Samotracia, rinvenuta nel 1863 in stato frammentario, venne dedicata nel Santuario dei Grandi Dei sull’isola di Samotracia per commemorare le vittorie di Rodi, Roma, Pergamo a Side e Mionesso (191-190 a.c). La statua è acefala e in origine policroma.

Il basamento a forma di prua fu invece ritrovato nel 1879 nella stessa isola. La dea alata è ora conservata al Museo del Louvre. Essa rappresenta uno dei caratteristici impianti di matrice rodia, in cui si fondono ricordi del passato classico (la personificazione della Vittoria interamente panneggiaimageto) ed echi della scultura pergamena (il fianco sporgente come la Fanciulla Di Anzio). Il panneggio bagnato è la caratteristica principale, che non passa inosservata. La resa regala un particolare effetto, infatti il panneggio sembra mosso nel vento, nel momento in cui la figura si posa sulla prua della nave per annunciare la vittoria. Un vento impetuoso investe la figura protesa in avanti, muovendo il panneggio che aderisce strettamente al corpo e crea un gioco chiaroscurale di pieghette dall’altissimo valore virtuosistico, in grado di valorizzare il risalto dello slancio.

L’allegorismo della Vittoria è dimostrato dalla posizione delle braccia, dalle ali che sembrano spiegate e pronte per il volo e soprattutto dall’associazione con la Dea Atena. Dinamismo ed abilità di esecuzione si uniscono quindi in un’opera che concilia spunti dai migliori artisti dei decenni precedenti: il vibrante panneggio fidiaco, gli effetti di trasparenza e leggerezza prassitelici e la tridimensionalità lisippea. Scolpita nel pregiato marmo di Paro da Pitocrito, la dea posa con leggerezza il piede destro sulla nave, mentre per il fitto battere delle ali, che frenano l’impeto del volo, il petto si protende in avanti e la gamba sinistra rimane indietro.

L’ala destra fu ricostruita nel 1900 interamente in gesso mentre le braccia sono ora conservate nel museo di Vienna. Con l’acquisto delle braccia, Vienna dimostrò che esistettero dei popoli e che questi reperti archeologici rappresentavano un’attrattiva per il pubblico. In origine il braccio destro era abbassato, a reggere probabilmente il pennone appoggiato alla stessa spalla, mentre il braccio sinistro era sollevato, con la mano aperta a compiere, secondo la conservatrice del Louvre Hamiaux, un gesto di saluto, o meglio a reggere una corona. L’autore della Nike ha esasperato tutto ciò che può suggerire il movimento e la velocità.

La Nike per me non solo rappresenta la Vittoria, ma il coraggio, la costanza di Noi stessi anche se controcorrente. È facile strafare e arrivare in cima nike3alla montagna con la mania del “gigantismo” o meglio conosciuta come quella del “tutto e subito” , e così facendo in un attimo ci si ritrova a terra. Più difficile invece è rimanere su una linea continua, costante. Rimanere noi stessi, umili e coraggiosi, affaticati ma soddisfatti. E lentamente arrivare alla cima per rimanerci. È un invito a lottare, contro tutto e tutti per inseguire gli obiettivi che riteniamo importanti. La Nike vinse, controcorrente. Le sue ali fanno vibrare ancora adesso la sala in cui si trova, e ci si perde nell’ immensità del nostro animo, una sensazione che regala una frizzante sensazione di Vivere. Un inno alla Vita e alla Vittoria di noi stessi.

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