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La luna di Friedrich

Questa sera, complice l’estate, siamo un po’ tutti con lo sguardo rivolto al cielo, a cercare la suggestiva luna dove, ormai 50 anni fa, l’uomo ha segnato la sua impronta. Il pensiero di un’impresa così ardua e coraggiosa mi infonde sentimenti che spero siano largamente condivisi: il senso di appartenenza ad una sola umanità, orgogliosa di essere capace di sognare e di realizzare anche i sogni più immensi e bizzarri. La luna suggerisce argentee visioni, intrise di meraviglioso stupore ed è nella notte che soprattutto i romantici raffigurano le loro magiche rappresentazioni.

Alcuni romantici guardano fuori, verso la natura e il cosmo, altri dentro, ma in ogni caso cercano una nuova dimensione da sondare non più attraverso la Ragione. Tra questi artisti Friedrich è uno dei più noti e per certi versi più incisivi. Le sue visioni includono spesso la figura umana, tuttavia non si tratta dell’uomo individuo quanto dell’UOMO e dell’UMANITA’ in generale. Le atmosfere solitarie e intrise di spiritualità sono una sorta di mistico colloquio tra la natura e la creatura umana stupita e meravigliata, alle prese con il mistero dell’esistenza, con il sublime.

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CASPAR DAVID FRIEDRICH, Due uomini contemplano la luna, Galerie Neue Meister, Dresda,  1819-1820

 

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CASPAR DAVID FRIEDRICH, Uomo e donna contemplano la luna, Alte Nationalgalerie, Berlino, 1824

I soggetti delle due rappresentazioni precedenti sono simili ma nella tela più tarda c’è la presenza femminile e le tonalità sono quelle più fredde di un plenilunio mattutino o crepuscolare (vista la presenza del pianeta Venere), il contrasto tra le sagome silvestri e il cielo è sicuramente più netto.Da considerare nell’opera è anche la differenza tra i due alberi, quello di sinistra rigoglioso e vivo, quello di destra sradicato e morente, il divario è più netto nel dipinto di Berlino. Per alcuni il senso sarebbe religioso, il paganesimo sconfitto dal cristianesimo, ma forse Friedrich sta sottolineando la differenza tra la finitezza dell’uomo e il sublime infinito del cosmo.

A Berlino c’è ancora una Luna nascente dal mare, con una cromia delicatissima e molto vicina alla Contemplazione di Berlino. I personaggi sono tre:

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CASPAR DAVID FRIEDRICH, Luna che sorge dal mare, Alte Nationalgalerie, Berlino, 1822

due donne affiancate e un uomo più indietro,  seduti su un grande masso in riva al mare, le loro silhouette si rilevano contro il cielo mentre guardano la luna che sorge ad oriente elevandosi da un fascio di nuvole. Al largo ci sono due vascelli sospinti dal vento lieve verso gli spettatori sulla riva. Il dipinto è probabilmente una vista sul Mar Baltico, vicino Greifswald, luogo di nascita di Friedrich, nella Pomerania svedese, probabilmente uno dei paesaggi marini dell’isola di Rügen.

Ultimo della serie, anche dal punto di vista temporale, è Una passeggiata al crepuscolo del 1837, la luna è ancora una volta in compagnia di Venere, la stella della sera. Il personaggio chiuso nel mantello è forse lo stesso Friedrich che contempla un megalite, un’antica sepoltura.

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Il capo chino, l’atmosfera fredda e invernale rivelata dal colore cereo del cielo e dalla vegetazione spoglia del paesaggio sono indice dell’ultima stagione pittorica dell’artista romantico, quando ormai malato presagiva l’avvicinarsi della fine. Tuttavia oltre la coltre nebbiosa vi sono delle querce verdeggianti e la luna crescente è il simbolo  cristiano della rinascita e della speranza.

Grazie per la lettura e alla prossima luna sul Parnaso.

I VOLTI DELL’ANIMA: OMAGGIO A CASPAR DAVID FRIEDRICH (Parte Prima)

I VOLTI DELL’ANIMA: OMAGGIO A CASPAR DAVID FRIEDRICH  (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840) nell’anniversario della nascita.

di Filippo Musumeci

“L’unica vera fonte dell’arte è il nostro cuore, un linguaggio puro come la mente di un bambino. Un’opera che non scaturisca da questa origine non può essere che artificiosa.” (Caspar David Friedrich)

CASPAR DAVID FRIEDRICH

Era il 5 settembre 1774, ovvero 244 anni fa, quando a Greifswald (cittadina della costa baltica nello stato federale del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, in Germania) veniva alla luce un uomo, un pittore, un genio romantico che non ha certo bisogno di alcuna presentazione e che da oltre due secoli incanta studiosi, storici, cultori ed estimatori dell’Ottocento (e non) con la poesia “sublime” delle sue visioni mistico-naturalistiche. Un “avanguardista” del suo tempo, senza il quale il Romanticismo europeo non avrebbe vissuto i risvolti figurativi conquistati, il concetto stesso di “Sublime” non avrebbe conosciuto il suo massimo rappresentante e la pittura, in toto, sarebbe stata privata di una tessera indispensabile alla veduta d’insieme del suo mosaico. Nel corso di questi due secoli, l’arte di Caspar David Friedrich ha fatto proseliti, ispirando, in modo più o meno esplicito, simbolisti di fine Ottocento come lo svizzero Arnold Böcklin, il quale ha saputo ricreare nei suoi lavori i valori atmosferico-sensoriali offerti dalla Natura, assieme allo spirito simbolico e più dichiaratamente languido, quando non addirittura tetro, delle visioni friedrichiane, sovente legate al tema della “morte”. E Böcklin non si limita a citare Friedrich solo nella scelta di tema e soggetti, ma ne condivide anche il pensiero critico quando afferma che: “la pittura deve riempire di sé l’anima. Finché non lo fa rimane uno stupido artigiano.”  

Ma sui rapporti tra i due pittori dell’Ottocento rimandiamo all’articolo già in cantiere e di prossima pubblicazione.

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Celebre è l’aforisma friedrichiano formulato dal pittore romantico nel quale afferma: “Chiudi il tuo occhio fisico, al fine di vedere il tuo quadro con l’occhio dello spirito. Poi dai alla luce ciò che hai visto durante la notte, affinché la tua visione agisca su altri esseri dall’esterno verso l’interno.” (Caspar David Friedrich)

Questa lucida deduzione sulla fase ideativa dell’opera è una porta aperta verso le Avanguardie storiche del XX secolo e giunge all’occorrenza per delineare come anche i surrealisti operanti a Parigi dagli anni Venti del Novecento come Max Ernst, René Magritte e Salvador Dalì,  fino all’Espressionismo astratto statunitense di Mark Rothko e alle marine contemporanee di Piero Guccione, “padre” del Gruppo di Scicli, (di quest’ultimo e dei rapporti con la pittura di Friedrich abbiamo già parlato QUI) siano deliberatamente debitori del pittore di Greifswald, relativamente al carattere epico e al sentimento lirico rievocato nelle loro composizioni, ove il rapporto Uomo-Natura viene riaggiornato alla luce delle nuove esperienze legate alla sfera dell’inconscio.

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A dire il vero, ciò che accomuna gli artisti citati in una pressione osmotica può essere sintetizzato nell’espressione coniata dallo scrittore tedesco Ernst Theodor Amadeus Hoffmann per definire la vera essenza del Romanticismo, vale a dire “brama d’infinito”. E al concetto di “Infinito” si lega saldamente per effetto, poiché da esso prende forma, il sentimento “Sublime” di matrice romantica. Fu Edmund Burke, scrittore e uomo politico inglese del Settecento, nelle sua opera “Indagine filosofica sull’origine del Sublime e del Bello” (1756-59) – poi ripreso dal tedesco Immanuel Kant ne “La critica del giudizio” (1790) – a definire i caratteri del sentimento “Sublime”, affermando che: “Ciò che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire. […] Le idee di dolore, di malattia, di morte, riempiono la mente di forti emozioni di orrore; ma le idee di vita e di saluta, sebbene ci mettano in grado di provare piacere, non producono, col semplice godimento, altrettanta impressione. Le passioni quindi che riguardano la preservazione dell’individuo si riferiscono, principalmente, al dolore o al pericolo e sono le più forti di tutte le passioni. […] Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte del sublime; ossia è ciò che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”.  In altre parole, quel misterioso e affascinante insieme di sensazioni che è possibile provare solo di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali (un tramonto infuocato, una tempesta impetuosa, una notte di vento, una tormenta di neve, un mare in tempesta o mosso, un paesaggio visto dall’alto come infinito), quando le sensazioni che ne derivano tendono a colmare l’animo di un “orrore dilettevole”.  In definitiva, il “Sublime” è, al contempo, piacere e dolore, più opportunamente definito dagli artisti romantici “Il pinnacolo della beatitudine”, poiché confinante con l’orrore, la deformità, la follia: un culmine che fa smarrire la mente di chi non sa guardar oltre. Ma quella sul “Sublime” è “l’altra storia” su cui si desidera rinviare al prossimo articolo, come già detto, in cantiere. Tuttavia, un ultimo pensiero mi conviene e, concludendo, pongo le dovute riflessioni. Quale artista non ha mai guardato alla propria “opera d’arte” come una prova protesa verso l’infinito? È, in fondo, un bisogno dell’animo umano quello di varcare i confini spazio-temporali alla ricerca di ciò che vive e non muore. Friedrich ha tentato, riuscendoci, di varcare quel confine e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oggi, più di ieri, la sua “mistica visionaria” è più viva che mai e continua a ispirare generazioni di talentuosi artisti e ad appassionare giovani studiosi.

E sarà pure una nota ironica la mia, ma a Friedrich guarda anche lo scrivente (un pessimo illustratore, direi), con risultati indiscutibilmente opinabili (che non sembra il caso di approfondire) quando, a tempo debito, mette mano al pennello per stendere l’ennesimo e giammai finito paesaggio marino, poi tempestivamente rimosso dal cavalletto e stipato in cantina assieme agli altri. E non se ne parla più!

Ma per concludere quest’incipit, che intende essere il nostro omaggio all’Arte friedrichiana (da pubblicare in più parti), credo non possa esserci occasione più propizia di oggi, 5 settembre, ovvero giorno che ricorda anche il compleanno della cara amica e collega nonché amministratrice, curatrice e autrice di Sul Parnaso, Emanuela Capodiferro, per riprendere l’attività narrativa sul blog dopo il mio, ahimè, lungo letargo biennale. A lei dedico questo nuovo, seppur concito, scritto, oltre alla ritrovata brama di raccontare per questa nostra creatura social, tanto voluta e tanto cullata in questi quattro anni di attività. Glielo devo, non trovate? Non altro per la pazienza e l’incoraggiamento disinteressatamente elargiti. E poi, ogni promessa è un debito! Dunque…

N.B. Vi diamo appuntamento con la parte seconda di questo nostro omaggio all’Arte di Friedrich, in cui si indagherà più dettagliatamente sulle opere più rappresentative dello stesso e sui rapporti tra queste e la pittura di Böcklin, Rothko  e i maestri surrealisti. Ovviamente con la promessa di non farvi attendere troppo a lungo, stavolta. Promesso!

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